Monologo dell’Einaudi dedicato alla deportazione: «Raccontate e diffondete quegli anni disumani»
L’iniziativa degli studenti per non dimenticare
Un piede dopo l'altro, sguardo basso, orecchie aperte. Pianti, urla per le strade, vetri rotti, grida di dolore, porte sfondate, parole in lingue sconosciute gridate con rabbia e disperazione. Intorno, dietro gli scuri delle finestre, al riparo da sguardi di minaccia nessuno che faceva niente.
Per gli sguardi vuoti della gente. Per le parole assenti della gente. Per i passi svelti di chi scappa, di chi non è coinvolto. Con il volto sconvolto alzo lo sguardo, mi giro e vedo l’orrore: donne e uomini picchiati, bambini strappati dalle proprie madri, fucili puntati, cani rabbiosi alle calcagna mi appannano la vista. Guardo e ammutolisco, non so fare altro…solo la strada è testimone delle urla del dolore del tempo. Quella che ho io, e che infondo avete anche voi.
Una settimana, 7 giorni, 168 ore, 10080 minuti. Destinazione ignota. Si può partire senza sapere dove andare? Destinazione ignota. Viaggio senza biglietto di ritorno. Destinazione ignota. Verso la morte? Verso un lavoro? Verso una vita nuova? Verso un’identità nuova? Questo ancora non lo so. Non lo sappiamo, molti non lo sapranno mai. Siamo ammassati, vicini, appiccicati, pressati, respiriamo a malapena, sopravviviamo a malapena. Di fame e di sete si muore, noi abbiamo fame e sete di vita. Voglio vivere. Vogliamo vivere. Destinazione raggiunta, il mio sguardo si sofferma su una scritta: “ARBEIT MATCH FREI” il lavoro rende liberi. Ma chi sarà libero? Io non sono Miriam, io non sono Carlo, io non sono Primo, io non sono Edith, io non sono Nello, io non sono più. Io non sono nemmeno libero. Non so chi sono. 75190 inciso sulla pelle e dentro la mia anima. Lentamente i ricordi sbiadiscono, le mie dita non riconoscono il mio corpo.
Non ricordo il mio volto e non riconosco quello degli altri. Mi sono aggrappata al mio nome e l’ho perso, si è nascosto da qualche parte o è stato cancellato? Può un numero spogliarti di colpo del tuo passato? Di ciò che eri, la storia che sei stato. Siamo trattati come bestie al macello, siamo vestiti di niente, anzi vestiti di paura. Ogni giorno la morte arriva, inesorabile e non lascia scampo. Arriva e non so se viene per me o per un’ altra anima rovinata e calpestata, che vaga in questo posto senza Dio. Quello che so è che ne porta via tanti, decisamente troppi. Troppi per me, troppi per la storia che ne chiederà conto. Ma una cosa mi è rimasta… Speranza. Sì! Proprio quella. Io…lo so che esiste. So che c’è. Si è nascosta in quelle lande senza sole, ma ci tendeva una mano, ci ha permesso di aggrapparci alla vita. Siamo noi a creare speranza. Tutti noi. So, sappiamo che non è tutto nero, non è tutto buio, non è tutto dolore. Ed è proprio questo che mi ha salvato rendendomi di nuovo libera.
27 gennaio 1945. Succede il fiimondo. L'armata russa ha vinto. I tedeschi cercano di bruciare tutto, tutte le prove, ma sono troppe, migliaia di carte, carte, carte, carte, foto e foto di tutti i volti d’Europa, nomi e nomi in tutte le lingue d’Europa. Si tolgono le uniformi, si vestono di stracci, vogliono i miei stracci, proprio i miei luridi, logori, laceri stracci. Ed è tutto così strano, così nuovo che mi sembra un sogno. Ma è solo silenzio. Tornare alla normalità è strano. Nor-ma-li-tà. Vorrà pur dire qualcosa questo termine sconosciuto, nuovo. Nor-ma-li-tà. Cosa è la normalità? Ritornare a casa, ma una casa non c’è. Ritrovare i propri cari, ma solo nei sogni. Ricominciare. È forse nel ricominciare la normalità? Ricordi di corpi, di pianti, di nomi, di storie, di odori e di urla che sconvolgono le mie notti insonni. Parlare di ciò che ho vissuto, raccontare di ciò che mi è stato inflitto lo ritengo impossibile. E se non mi riconoscono? Se pensano che io sia pazzo? Se pensano che io menta? Se non volessero ascoltare?
Dopo 10 anni sono riuscito a parlare! A raccontare faticosamente l’orrore di ciò che ha segnato per sempre la mia vita e quella di tanti altri che si sono spenti nel silenzio. È stato complicato, lo ammetto. Ma ce l'ho fatta… Ce l’ho fatta. Ce l’ho fatta! La mia vita, la mia storia è qui, è pronta a lottare contro l’indifferenza di chi oggi non crede a quello che ci è toccato in sorte per la colpa di essere nati. L’indifferenza che è più violenta della ferocia mi ha tratto, ma sono in piedi, pronta a passare il mio testimone, straetta del ricordo per l’eternità. Ora tocca a tutti voi! Raccontate, parlate, leggete, diffondete ciò che io e 6 milioni di persone abbiamo sopportato in quegli anni così bui e disumani. Sono stata anch’io una bambina, una bambina felice. Sono stato anch’io un bambino, un bambino felice. Non dimenticatemi. Io sono Miriam, io sono Carlo, io sono Primo, io sono Edith, io sono Nello. Vi passo la mia storia, il mio ricordo, il mio nome, la mia voce, perché il mio ieri non sia mai più il domani di qualcuno. Io sono ora i vostri occhi, le vostre parole, i vostri sguardi sul mondo, le vostre mani tese affinché la storia non si ripeta, affinché non siate indifferenti. l
Classe 4C istituto Einaudi
con la prof Grazia Russo
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