Pressioni e competizione, una testimonianza: «A contare è come reagiamo a una caduta»
Quella paura di fallire
Come nella tendenza di tiktok, spopolata nel 2024, se mi dovessero chiedere qual è la mia più grande paura, probabilmente risponderei il buio. Ma se me lo dovessero chiedere in un momento di debolezza direi il fallimento.
La paura costante di fallire è una cosa che al giorno d’oggi definirei comune e generalizzata per i giovani, e anche per me. Quella paura che non sempre trova risposta a un riscontro oggettivo, a una questione reale. È quel momento di grande angoscia che entra nella tua vita all’improvviso. Non ne sei pienamente cosciente quando ti ritrovi in quello che io definisco un “buco nero infinito”. In cui la paura di fallire ti affligge ogni giorno di più facendoti cadere in un circolo vizioso.
Ognuno di noi ha le proprie debolezze e il senso di fallimento si attacca come una calamita a ognuna di esse, non lasciandole mai sole, e facendoti ripensare costantemente a come potresti cedere. C’è chi ha paura di fallire sul momento, chi invece non smette di pensare al futuro e chi riflette sulle azioni passate.
Oltre a me, anche il 92% dei giovani italiani con un massimo di 30 anni teme di fallire (CI- redazione online, s.d.) e io penso che ciò sia dovuto non solo a una fissa personale, ma anche alla pressione che i genitori esercitano sui propri figli, e ai canoni di bellezza dettati dai social media, a dir poco irraggiungibili.
«Sono un fallimento, non merito di vivere». Questo è stato il pensiero di Alessandra De Fazio, presidente del consiglio degli studenti dell’Università di Ferrara, il 4 aprile del 2023, quando aveva scoperto di non aver passato il test per entrare a Medicina.
A dirlo è stata lei stessa rivolgendosi al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, presente all’inaugurazione del 632 esimo anno accademico dell’ateneo estense. Al teatro comunale di Ferrara ha dichiarato: «Queste parole sono uscite dalla stessa bocca della persona che oggi sta parlando di fronte a voi, le ha dovute sentire e subire mia madre quando dopo il test di medicina ho percepito di non avercela fatta, per la seconda volta», ha continuato la studentessa accusando il «mito della performatività» e la definisce «una competizione illogica che ci sbatte in faccia i successi degli altri e ci fa tirare un sospiro di sollievo quando qualcuno fallisce al posto nostro».
Siamo sempre dietro a rincorrere quell’attimo, siamo sempre in lotta per poter conseguire una determinata cosa, il problema sorge nel momento in cui non ci crediamo abbastanza, siamo paranoici di non riuscire a compierla.
La mancanza di fiducia in se stessi non deve essere considerata una debolezza, anzi, è la fiducia stessa l’obiettivo da perseguire nella vita. Come e quando, nessuno lo può sapere. Secondo me, fallimento e fiducia sono strettamente intrecciati l’uno nell’altro. Vi faccio un esempio: devo conseguire un obiettivo personale, però dopo vari tentativi fallisco. Ciò mi porta a perdere lentamente la fiducia, la forza di riprovarci e andare avanti. C’è una voce interiore che inizialmente bisbiglia, ma col passare dei giorni urla e tu non sai come fermarla, come liberartene.
Cerchi di non pensarci, di continuare la tua vita in pace, ma comunque lei ti blocca. Per certi versi ti fa riflettere, ti fa ripensare agli errori commessi e su come evitarli in futuro; però dall’altra parte, ti riporterà al ricordo di aver fallito. Dobbiamo ricordarci però, che commettere errori o fallire, sono solo modi per condurti nella strada giusta, per farti crescere e col tempo farti acquisire più fiducia nell’attuare azioni o nell’essere persone migliori.
Vi ricordate il “buco nero”?, cerchiamo di uscire da esso, di vivere ogni momento, bello o brutto, che la vita ci offre o che noi come persone ci creiamo. Perché la vita è solo una, ed è troppo corta per poterla vivere tutta nella paura di sbagliare.
In fondo siamo essere umani, ed è umano avere paura di qualcosa.
Il fallimento non definisce chi siamo, ma è semplicemente un episodio del nostro percorso, un passo in più nel cammino della vita. Quando affrontiamo un fallimento, che sia in un contesto professionale, sportivo, sociale o amoroso, spesso tendiamo a identificarlo come un giudizio su di noi stessi, ma in realtà non è altro che una parte del processo di crescita. Se siamo in grado di guardare alla nostra esperienza con serenità, se possiamo dire di aver dato il massimo e di essere in pace con la nostra coscienza, allora, in un certo senso, non siamo mai veramente sconfitti. In sostanza, non è ciò che accade, ma come rispondiamo a ciò che accade, che determina la nostra crescita personale. l
Giorgia Rosa
IIIH
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