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Il caso

Ferrara, avvocati minacciati con proiettili: dubbi sul Dna dell’imputato

Daniele Oppo
Ferrara, avvocati minacciati con proiettili: dubbi sul Dna dell’imputato

La Procura chiede la condanna, per la difesa è un castello di suggestioni

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Ferrara Il test del Dna. La “prova regina”, come spesso viene chiamata perché la si crede determinate. Anche se regina non è e, anzi, non è raro che sia confusa e che i dubbi non li faccia affatto sparire. Come potrebbe essere nel processo che vede un uomo imputato di minacce, per aver lasciato due proiettili da caccia davanti alla porta di uno studio legale in un paese della provincia, nel novembre 2021.
Il test del Dna dice che c’è una compatibilità tra quello rilevato nei proiettili e quello estrapolato all’imputato dopo un alcoltest effettuato dai carabinieri. Per la procura è una prova schiacciante, che si somma ad altre circostanze, su tutte un precedente contenzioso tra l’imputato e lo studio legale per l’uso degli spazi comuni dell’edificio nel quale operano e poi un post su Facebook forse relativo al contenzioso (risolto invero con una mediazione). Per questo ha chiesto la condanna a 8 mesi di reclusione.
Per la difesa, sostenuta dall’avvocato Carmelo Marcello, si tratta solo di un castello di suggestioni, senza indizi né prove. Il post su Facebook non si sa cosa faccia riferimento, il Dna sulle cartucce è “sporco”, misto e dunque la prova regina non darebbe alcuna indicazione valida, essendo l’ingresso dello studio legale in uno spazio comune nel quale l’imputato passa e dove quindi non è improbabile che disperda il suo Dna, che potrebbe aver contaminato i proiettili. Altra questione sollevata è stata la modalità di ottenimento del campione da comparare. Ha lamentato infatti che l’alcoltest sia stata una procedura invasiva e, dato il fine che aveva, la procura avrebbe dovuto dare avviso per l’effettuazione di un accertamento tecnico e permettere il contraddittorio. Non avendolo fatto, la “prova” sarebbe ora inutilizzabile. Ha chiesto dunque l’assoluzione piena, per non aver commesso il fatto. Anche perché gli imputati erano due: padre (che 10 anni prima ebbe qualche risentimento con uno dei legali e è deceduto in corso di giudizio) e figlio, ma nessuno ha spiegato chi avrebbe fatto cosa. L’11 novembre il giudice deciderà. 

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