Le ultime ore di vita di Succi, Malagutti e Parmeggiani
Fonti varie raccolte da Graziano Gruppioni
I documenti e le cronache del tempo sulla fucilazione dei tre martiri il 16 marzo del 1853
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FERRARA. Il 15 marzo 1583 il commissario straordinario per le legazioni scriveva al Maggior Rohon comandante austriaco della Fortezza di Ferrara: "il giorno del 17 Febbraio u.s. il Consiglio di guerra riunitosi nella Cittadella, condannó a morte colla forca i qui detenuti, Succi Giacomo, Malaguti Domenico, Parmeggiani Luigi, per motivo del contrastato delitto d'alto tradimento. Ratificata che venne detta condanna [..] si eseguirá la condanna in mancanza di un carnefice, mediante la fucilazione nel giorno del 16 del mese di Marzo 1853 alle ore 7 antimeridiane. [..] la S. V. viene gentilmente pregata di voler ordinare [..] il necessario numero di pii sacerdoti. L'esecuzione verrá eseguita fuori della porta del Soccorso sulla spianata della Cittadella. I SACERDOTI. Il 16 marzo 1853 furono giustiziati i tre martiri. Ecco come trascorsero i loro ultimi momenti di vita. Alle 4 e mezza antimeridiane del 15 marzo quattro sacerdoti raggiunsero il carcere di San Paolo. Alle 17.30 un capitano li accompagnava in una sala d'aspetto ove gli venne offerto un caffè in attesa dell'uditore che pranzava al Ristorante Europa. Arrivato l'uditore, i confortatori aspettarono i pazienti ancora un'ora perche le mogli di Succi e Parmeggiani udita la notizia dalla bocca dei congiunti urlarono disperatamente e non volevano abbandonare la sala di ricevimento del carcere, la signora Parmeggiani fu presa da un attacco di convulsioni. Il Rev. Presidente Guitti, e i tre confortatori entrarono nella camera di Succi, stava in piedi a testa scoperta guardato a vista da cinque soldati armati di fucile. Il paziente non era legato. Gli dissero come uno di loro era venuto a tenergli compagnia, a riconciliarlo con Dio; scegliesse, Succi disse "io accetto tutti; ma poichè sono il più vecchio, sceglieró il confessore più anziano". Il più attempato dei confortatori gettandogli le braccia al collo, e baciandolo in fronte disse "Sono io", ma soggiunse il paziente: prima voglio scrivere e dire che la confessione, che ho fatto alla Commissione militare, mi è stata estorta con violenza, colla panca, col bastone, e con le catene: nè minacciavano solo, ma battevano, e se non si voleva morire sotto il flagello bisognava dire quello che volevano. LA TORTURA. Passarono dal Malagutti. Come li vide si gettó in ginocchio piangendo dirottamente, bació a tutti la mano, e disse: sia ringraziato Iddio che vedo un sacerdote in queste mie angustie che mi opprimono. Si alzó e continuó: io voglio confessare tutti i miei peccati e dirli che confido tanto nella misericordia di Dio. Si sappia che nei miei costituti ho dovuto dire quello che essi volevano; che ho sofferto una tortura orribile; che mi hanno cagionato ovunque emorragie di sangue [..]. Quando gli dissero di scegliere egli scelse il suo compagno di classe Don Luigi Zuffi. Passarono poi da Parmeggiani, era seduto, si alzó tenne il cappello in testa e disse "sono venuti per confessarmi? io sono innocente; io mi voglio confessare in pubblico, alla presenza della Commissione, e dire che quello che ho detto e scritto mi è stato estorto con domande suggestive, colle catene lasciandomi un mese intero incatenato giorno e notte; col bastone, per cui ho dovuto essere portato all'ospedale delle Martiri, e starvi diciotto giorni". Gli dissero di scegliere il confessore; li guardó in volto, e conoscendone uno disse piangendo "Lei Padre, lei che ha avuto moglie e figli, lei, che più facilmente compatiró un Padre afflittissimo, che lascia la moglie, e due figlie da marito nella miseria" e presogli con forza la mano se lo fece sedere sulla sua panca, Parmeggiani era preso da una forte convulsione e piangeva. Bevve acqua fresca e caffè tutta notte: volle sempre accesa la stufa. Non tacque mai, parló sempre dell'ingiusto ed iniquo modo di cercare la veritá coi tormenti. Scrisse una lettera a sua moglie, fece testamento. Poi si confessó due volte, e chiese più volte l'assoluzione. Lesse le proteste dell'anima, ebbe l'assoluzione pontificia e fece tutti gli atti del cristiano. LA CONFESSIONE. Alle due dopo mezzanotte Parmeggiani disse "saprei volentieri se i miei compagni si sono confessati, vada a sentire, e gli dica che io mi sono confessato e che gli domando perdono dello scandalo dato coi fatti e colle parole, se fossi stato la cagione delle loro pene. Il Confortatore andó dal Succi: era in letto, si alzó, ed intesa l'ambasciata disse: "io debbo domandare perdono a lui, che l'ho sedotto; e se ci incontreremo prima del supplizio lo prego volermi dare il bacio del perdono". Malagutti fumava un sigaro seduto al letto col suo Confortatore, e disse d'aver perdonato a tutti, come voleva che Dio perdonasse a lui. Alle ore sette della mattina del giorno 16, Parmeggiani ed il Confortatore furono fatti discendere nell'atrio: trovarono il Dott. Malagutti in mezzo ai soldati solo, perchè il di lui Confortatore diceva la messa in Chiesa. Il Confortatore del Parmeggiani lo prese colla mano sinistra, perchè colla destra teneva il suo paziente. Si baciarono. Nello stesso tempo arrivó Succi: li abbracció, li bació tutti due, e gli disse: Addio. LE BENDE. Si avviarono alla Chiesa dicendo li atti di fede. Si posero in ginocchio a più dell'altare. Malaguti e Parmeggiani vollero nuovamente l'assoluzione. Fecero la santa Comunione. All'ultimo Vangelio si alzarono in piedi e Malagutti disse forte: "Quanto mi sembra di essere leggiero! Signore gli anni di vita che mi si tolgono dateli a mia Madre!" e Parmeggiani ripetè l'esclamazione e disse: e i miei alle mie figlie. Tornó il Confortatore dal Malagutti, e si avviarono al supplizio prima Succi, poi Parmeggiani, poi Malagutti. Passarono per la piazza d'arme, per la porta del soccorso, andarono sugli spalti detti di San Giacomo: mezz'ora di cammino in tante giravolte, ed a passo lento. Gli si voleva porre la benda agli occhi: Succi e Parmeggiani dissero non essere necessario. Parmeggiani s'inginocchió, unì le mani, chiuse gli occhi e mentre invocava Gesù un tenente disse che era suo dovere bendarli, un soldato gli mise un fazzoletto bianco sugli occhi poi i soldati scaricarono i loro fucili nel petto e in fronte.
