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La strage del Castello per Ferrarizzare l’Italia

La strage del Castello per Ferrarizzare l’Italia

Il 15 novembre la rappresaglia fascista per l’uccisione di Ghisellini

12 novembre 2011
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Nella notte tra il 13 e il 14 novembre 1943 il corpo senza vita del federale di Ferrara, Igino Ghisellini, fu ritrovato vicino a Castel d'Argile, appena al di là del fiume Reno, in territorio bolognese.

Ghisellini aveva assunto la carica di federale appena ricostituito a Ferrara il Partito fascista, che aveva preso il nome di Partito Fascista Repubblicano (PFR); contemporaneamente era stato nominato comandante della 75° Legione della Milizia Volontaria per la Salvezza Nazionale (MVSN), carica da cui si dimise, dopo poco più di un mese, per insorti contrasti con il comando regionale. Il comandante regionale, Zauli, gli imputava in particolare una certa incertezza nel confermare gli arresti di diversi antifascisti ferraresi - tra i quali alcuni martiri dell'eccidio - da lui stesso ordinati tra il 7 ed il 17 ottobre 1943.

In effetti il loro arresto era avvenuto dopo un incontro - cosiddetto di pacificazione - tra Igino Ghisellini, Carlo Govoni, Mario Tizzani per parte fascista, e Mario Zanatta, Ugo Teglio, Giuseppe Longhi, Cesare Monti, Giuseppe Stefani (esponenti dei partiti socialista, d'azione e democristiano) per parte antifascista. Nell'incontro l'impegno assunto da ambo le parti era stato quello di evitare violenze.

Gli unici a non parteciparvi, tra gli antifascisti, furono gli esponenti del Partito comunista, che lo ritenevano un ambiguo e pericoloso tentativo di impedire l'organizzarsi della Resistenza nascente e di individuarne i capi.

L'uccisione di Ghisellini fu a lungo addebitata ad una fazione del partito fascista in lotta per la supremazia: la strage del 15 novembre dunque sarebbe stata l'orribile rappresaglia messa in campo come conseguenza di una lotta intestina.

La versione della responsabilità fascista nell'uccisione del federale è stata sostenuta anche in famose opere letterarie e cinematografiche (Bassani, Vancini). Da qualche tempo, sostenuta anche da alcuni autorevoli esponenti della Resistenza, è stata avanzata l'ipotesi che ad uccidere il federale sia stato, invece, un GAP (Gruppo di Azione Partigiana) proveniente dal Bolognese, con supporti e collegamenti a Ferrara: l'obiettivo era impedire con ogni mezzo la riorganizzazione del Partito fascista e salvaguardare la possibilità della Resistenza anche armata, messa in discussione dai tentativi di pacificazione, già apertamente incrinati dall'ondata di arresti che nell'ottobre aveva colpito diversi degli antifascisti convinti della possibilità della pacificazione stessa.

Stando a questa seconda ipotesi, la strage del 15 novembre sarebbe stata perpetrata come rappresaglia all'uccisione del federale da parte dei partigiani.

Ma come si arrivò alla strage?

Alla notizia dell'uccisione del federale i rappresentanti ferraresi del PFR, riuniti a Verona per il I Congresso del partito, rientratono in città insieme a squadre di Padova e Verona agli ordini di Giovan Battista Riggio.

A Ferrara rientrò anche Enrico Vezzalini (che in città aveva assunto da poche settimane l'incarico di responsabile del collegamento tra le autorità fasciste e le autorità tedesche), assumendo la reggenza della Federazione. Nella notte furono arrestate 75 persone, prelevate di forza dalle loro case (ed altre sei saranno fermate nei giorni immediatamente successivi alla strage, tra il 16 ed il 18 novembre).

Tra di esse, la maestra Alda Costa, dirigente socialista, che passerà dal carcere di Ferrara a quello di Copparo e morirà il 30 aprile 1944 senza aver riavuto la libertà.

Fu tra gli arrestati di ottobre e quelli della notte tra il 14 ed il 15 novembre che i fascisti scelsero le persone da fucilare per rappresaglia.

All'alba del 15 novembre undici corpi erano riversi vicino al Castello Estense ed in altri punti della città: si trattava di Emilio Arlotti, Mario Zanatta, Vittore e Mario Hanau, Giulio Piazzi, Pasquale Colagrande, Ugo Teglio, Alberto Vita Finzi, Cinzio Belletti, Antonio Torboli, Girolamo Savonuzzi.

I loro corpi non furono rimossi se non dopo l'intervento delle autorità tedesche che accolsero l'intercessione di monsignor Ruggero Bovelli.

L'impressione in città fu enorme: basti pensare che le stesse autorità tedesche, in un loro rapporto, parlano di una trentina di vittime e che un'edizione clandestina dell' Avanti, giornale socialista, riporta la notizia che tra i trucidati figurava anche Alda Costa.

Dal massacro del 15 novembre nacque l'espressione fascista "Ferrarizzare l'Italia".