La Nuova Ferrara

Ferrara

Amore e morte ai tempi degli Estensi

Amore e morte ai tempi degli Estensi

Anna Guarini: una vittima della gelosia
Il racconto di Graziano Gruppioni

22 dicembre 2011
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Anna Guarini nacque da Giovanni Battista, autore del Pastor Fido e ambasciatore Estense a Firenze, a Venezia, in Savoia, in Polonia e da Taddea Bendidio, di nobile casato ferrarese.

Anna ebbe sei fratelli di cui tre maschi. Forse per le lunghe assenze o probabilmente per effetto del carattere alquanto duro ed altero del padre, questi procurarono al genitore molte amarezze e dolori. Battista irritatosi contro di loro volse tutto l'affetto alle figlie Vittoria e Anna, fiorenti per bellezza, gentilezza e cultura.

Alfonso II, regnante nella seconda metà del XVI secolo, volle che tutto intorno a lui funzionasse a magnificenza.

A corte abbondavano feste e intrattenimenti in ogni stagione, i divertimenti, le allegrie, i balli, le opere teatrali, la musica e il bel canto erano all’ordine del giorno. Dame e damigelle come Eleonora Sanvitale, Tarquinia Molza, Laura Peverarà, Livia d'Arco, Beatrice di Lodrone, cantate dal Tasso, partecipavano e vi apportavano brio e splendore.

A tanta magnificenza Guarini volle collocare Anna che fu accettata il 1° dicembre del 1580 come damigella di Margherita Gonzaga, terza moglie del duca Alfonso d’Este.

L’età giovanile non impedì alla ragazza di mettersi in luce e negli anni ebbe a conquistarsi la simpatia dei cortigiani, in particolare quella del duca. L’Estense conciliava alle damigelle di corte una dote e un matrimonio conveniente, impegnando per le unioni quando occorreva, ambasciatori e ministri. Così egli fece per la Peverara, la Lodrone, la Sanvitale, la Molza e per la Guarina, senza che ad alcuna di esse fosse lecito rifiutare lo sposo che a loro veniva assegnato.

Le trattative per conferire ad Anna il conte Ercole Trotti si conclusero nel 1584.

L’unico dubbio rimasto era il rifiuto del padre ad aumentare la dote alla figlia: con il duca si giustificò dicendo di avere debiti, di essere coinvolto in controversie di dubbio esito e di non voler causar danno agli altri figli. Che il duca abbia messo del suo o che il Trotti abbia ceduto, il matrimonio si celebrò nelle stanze della duchessa di Urbino in presenza dei regnanti, l’ultima domenica di agosto del 1584.

Il duca volle trattenerla ancora a corte al sevizio della duchessa insieme con il marito con una provvigione che variava fra sessanta e cento scudi d’oro all’anno: somma, per quei tempi, considerevole. Con queste nozze il cavalier Guarini vedeva assicurata la fortuna di Anna: Trotti ritrovava in questo, brama e soddisfazione e la giovinetta, ossequiente alla volontà del principe e del padre, sacrificava alla corte e alla vanità il proprio cuore costretto a regolare i suoi atti all'arbitrio dei padroni. Anna nella nuova condizione cui si era sottoposta cercò nelle liete feste, negli omaggi dei cortigiani e nel favore dei principi pascolo all'anima giovanile non rallegrata da gioie più intime e vere.

I concerti delle dame della corte Estense erano ovunque celeberrimi e il duca li serbava a sè e ai suoi più intimi e li offriva come il più nobile e più gradito trattenimento ai principi che gli accadeva di ospitare.

La Guarini nei concerti aveva una parte da primadonna nel canto come nel suonare il liuto. Erano trascorsi dodici anni da quando Anna si unì con Ercole Trotti e il destino volle che il suo nome si legasse alla cronache locali.

Viveva a Ferrara il conte Ercole Bevilacqua, di agiata e considerevole famiglia, nato nel 1554 e cresciuto alla corte del cardinale Luigi d'Este, che fin dall’età di diciassette anni aveva partecipato alle campagne di Francia e di Fiandra.

Nel 1575 sposò Bradamante d’Este, figlia naturale di Francesco zio del duca, con la quale concepì dieci figli.

Passato al soldo di Alessandro Farnese subì in guerra gravi ferite di cui portò i segni finche visse. Al suo ritorno fu promosso capitano dei Cavalleggeri e di conseguenza divenne uno fra i più stimati cittadini.

Il 19 giugno 1590, chiamato a cospetto del duca, gli fu intimato di abbandonare lo stato entro tre ore. Le ragioni per cui veniva esiliato furono la gelosia di Trotti e della moglie di Bevilacqua per Anna, nonché la voce che si diffuse dell’avvelenamento perpetrato da Bevilacqua ai danni della moglie e di Trotti per sposare la Guarina. Il duca obbligò poi Trotti a non molestare più la moglie. Nel 1598, dopo la morte di Alfonso II, la successione di Cesare, la devoluzione di Ferrara allo stato pontificio, cessava anche la ragione dell’allontanamento di Bevilacqua, il quale colse la palla al balzo per ritornare a Ferrara dove fra l’altro il cardinale Aldobrandini, nipote del Papa, lo accolse con grande onore.

Il ritorno dalla corte di Marco Pio, signore di Sassuolo, l’atto della moglie Bradamante di abbandonare il letto coniugale e seguire il cugino a Modena, rinfrescarono probabilmente nella mente di Trotti mille funesti pensieri che gli agitavano la conturbata fantasia. Esasperato e invidioso del favore che l’odiato Bevilacqua godeva dai nuovi padroni della città, vittima della sua adirata fantasia, giunse alla risoluzione di uccidere la moglie. Incredibile a dirsi!

Complice e fautore dell’omicidio lo stesso fratello di lei, Girolamo, che con lui progettò il piano del delitto. Ai primi di aprile del 1598 il conte Trotti condusse tutta la famiglia alla sua tenuta di Zenzalino, vicino a Copparo, a diciotto miglia da Ferrara. La contea di Zenzalino con il suo imponente castello prende il nome dalla quantità di selvaggina che offriva la sua Landa, in particolare “Zinghiali e zinghialini”.

L’importante tenuta appartenne alla famiglia Trotti dal 1475 fino all’Ottocento inoltrato, lo dicono i restauri apportati a tutto il complesso residenziale nel 1810. Il perimetro e le sale d’onore con al centro lo scalone sono rimaste tradizionali del primo Rinascimento mentre la fabbrica esterna sembra più un’imitazione neoclassica. La testimonianza della lunga storia dei Trotti si snoda tra alti e bassi attraverso i secoli fra i ciuffi di cedri dell’ampio giardino che volge verso la cappella di famiglia con l’abside ornata da una madonna in cielo che Baruffaldi attribuisce al ferrarese Girolamo da Carpi.

Davanti alla cappella spicca una bella ghiera in marmo, con inciso lo stemma della famiglia Trotti, che protegge quel pozzo in cui probabilmente più volte si era specchiata la bella Michela Granzena, uccisa con uno stiletto, perché sospetta di adulterio, dal marito Alfonso Trotti che fu cocchiere della regina Isabella di Napoli, ambasciatore del duca Ercole II in diverse corti d’Europa, ricevuto da Clemente VIII per la sua reputazione e che non seppe resistere alla morbosità della gelosia.

Qui, nella villa di famiglia dove Anna giunse ad aprile, il 2 maggio giorno dell’Ascensione, mentre stava in camera sua a letto indisposta, il marito entrò in azione con un sicario di nome Jacopo Lazzarini, mantovano.

Un cronista dell’epoca descrisse il delitto con queste parole: «La vista di quei due uomini non lasciò un solo istante dubitare l'infelice donna sulla cagione che ve li aveva condotti e, balzata dal letto e inginocchiatasi ai piedi del marito, implorò grazia della vita.

Ma non ebbe appena il tempo di proferire una parola che un colpo di scure la feriva nella gola, un secondo nella testa penetrando infino all'osso, un terzo nella faccia, e non parendo ancora ben morta, con un rasoio le si tagliava la gola. Consumato il delitto, i due assassini riparavano nelle terre dei Veneziani».

Nella fase istruttoria del processo e dagli interrogatori dei servi e di una balia si ottennero le prove del delitto.

Trotti fu condannato a morte in contumacia ed ebbe i suoi beni confiscati. A salvarlo fu Cesare d’Este che gli diede ospitalità, lo nominò capitano della Guardia ducale, lo investì di giurisdizioni feudali e lo mantenne a corte fra i suoi più fidati; mentre negò al Bevilacqua di ricongiungersi se non alla moglie ma alla ricca prole.

La vedova del defunto duca, Margherita Gonzaga, che ebbe con sé per diciotto anni la povera vittima, giurò sula sua innocenza.

Il padre compose un’iscrizione latina che fu collocata nella chiesa di Santa Caterina in Ferrara dove era stata tumulata la propria prediletta.

I principali attori di questo lugubre delitto finirono i loro giorni di morte naturale; Bevilacqua morì a Ferrara due anni dopo, nel 1600; Girolamo Guarini, fratello di Anna, si spense a Milano nel 1611; Ercole Trotti a Zenzalino, verso la fine del 1624. Costui che già vedemmo accolto e onorato nella corte di Modena, dopo parecchi anni di esilio, mosse istanze di perdono al pontefice e al cardinale Aldobrandino per ritornare in patria e riavere la sua proprietà. confiscata.

Avvalorava queste pratiche il duca di Modena con efficaci raccomandazioni; ma difficilmente si ottenevano somiglianti grazie se la parte offesa non consentiva il perdono e Guarini, per quante sollecitazioni gli fossero mosse da personaggi ai quali in ogni altra cosa avrebbe obbedito, rifiutava il perdono.

Solamente dopo otto anni, vecchio e stanco, sentendosi prossimo a chiudere con la vita terrena, s'indusse a concedere la richiesta grazia.

Trotti allora, senza rinunciare agli impegni che aveva con il duca di Modena, potè rientrare con la seconda moglie a Zenzalino e recuperare le sue proprietà. E in quella stessa casa dove uccise Anna, tormentato da dolorose malattie e dai rimorsi, finì i suoi giorni.