La Nuova Ferrara

Ferrara

Il tema della biblioteca nel Giardino dei Finzi-Contini

di LORENZO CATANIA
Il tema della biblioteca nel Giardino dei Finzi-Contini

La letteratura salva la vita ed aiuta a uscire dai confini Attraverso i discorsi letterari Bassani divenne meno solo

20 dicembre 2012
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LORENZO CATANIA. La vicenda al centro del romanzo di Giorgio Bassani “Il giardino dei Finzi-Contini” (1962) si svolge a Ferrara negli anni tra il 1938 e il 1943. Qui vive, appartata e formalmente allineata al fascismo, la ricca famiglia ebrea dei Finzi-Contini (costituita dal professor Ermanno, dalla moglie Olga, dai figli Alberto e Micòl e dalla vecchia madre di Olga, la signora Regina) che non disdegna di ostentare il proprio status sociale. Quando le leggi razziali proibiscono agli ebrei i matrimoni misti, l’ingresso nelle biblioteche, nelle scuole statali, nei circoli del tennis, il fragile e introverso Alberto e la bella e sfuggente Micòl invitano alcuni coetanei a giocare nel loro campo privato, ricavato nel vasto e suggestivo giardino della villa. Fra questi c’è il narratore, studente di lettere innamorato di Micòl, espulso come ebreo dalla Biblioteca Comunale di Ferrara e perciò impedito a portare a compimento la sua tesi di laurea sullo scrittore Enrico Panzacchi. A questo punto della trama, le pagine del capitolo VI della Parte Terza del romanzo, costruito come per cerchi concentrici che dal cerchio grande delle mura della città di Ferrara portano al muro di cinta del giardino dei Finzi- Contini e poi ad alcune stanze interne, introducono il tema della biblioteca. Luogo-simbolo dell’erudizione e dell’isolamento del professor Ermanno, che con i quasi ventimila volumi e i più disparati oggetti che ingombrano il suo studio-biblioteca - segni della sua identità inconfondibile al pari dei modi di dire, delle bevande predilette, della collezione di vetri, dei gesti della figlia Micòl - cerca di proteggersi dal mondo che frustra la sua aspirazione a una società dove l'amore per l’arte e la natura, la bellezza e la cultura siano valori comuni e condivisi. Invitato ad approfittare della fornitissima biblioteca di casa Finzi-Contini, per continuare le ricerche letterarie in vista della discussione della tesi, il narratore per due mesi e mezzo lavora con tenacia e profitto, grazie anche all'immagine della pigra, inquieta e colta Micòl che mai lo abbandona. Ogni tanto il professore gli fa visita e guarda compiaciuto le carte e i libri che il narratore ha davanti. Lo intrattiene parlandogli dei “propri” lavoretti di argomento veneziano, di vicende letterarie marginali, di lettere inedite di Giosué Carducci che conserva gelosamente. Attraverso la chiacchiera letteraria, la solitudine del narratore, bollato come “diverso” dalle leggi razziali che hanno posto fine in maniera traumatica alla sua giovinezza fatta di studi, dei primi amori e di svaghi mondani, incontra la solitudine dell’anziano professore, consapevole di trovarsi dalla parte dei vinti predestinati alla morte e scettico sulle sorti magnifiche e progressive dell'umanità. Figura appartata e discreta, un po’ snob e mortuaria, nel corso della narrazione il professor Ermanno rivela con discrezione la sua personalità e diventa per Giorgio una specie di secondo padre attratto dalla cultura letteraria raffinata ed europea del figlio elettivo. È vero infatti che nel “Giardino dei Finzi-Contini”, poi confluito con qualche variante nel “Romanzo di Ferrara” (1980) di cui forma la terza parte, continui sono gli accenni a poeti e scrittori italiani e stranieri e le citazioni tratte da Dante, Carlo Porta, Baudelaire, Delio Tessa, Ungaretti, Montale, Emily Dickinson. A Giorgio, che il professor Ermanno considera come un erede - il figlio naturale Alberto è un giovane chiuso, un po’ fatuo e passivo, che va in sollucchero per le qualità del suo grammofono o per “le virtù” di una poltrona che garantisce alle vertebre la posizione anatomicamente più corretta e vantaggiosa, l’anziano padre di Micòl affida perciò il compito di difendere e rinnovare, nel tempo che corre rapido e investe e muta ogni cosa, la tradizione umanistica assediata dalle arti di massa degli anni ’30-’40, pronti a scalzare e sostituire credenze genuine, valori forti, verità che la cultura letteraria racchiude e che la politica non riesce a costruire: “Mi guardava con occhi ardenti, brillanti: come se da me, dal mio futuro di letterato, di studioso, si aspettasse chissà che cosa, come se contasse su di me per qualche suo disegno segreto che trascendeva non solamente lui ma anche me stesso…”. Quando conquista di una sofferta maturità, formazione letteraria e talento del protagonista del romanzo potranno esprimersi pienamente nella pratica della scrittura, questi saprà corrispondere alle attese del professor Ermanno, sottraendo all’opera dissolutrice del tempo “quel poco che il cuore ha saputo ricordare” di un mondo scomparso che c’interroga su ingiustizia ed egoismo che perdurano nel nostro tempo crudele.

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