Prete, filosofo, giornalista: ricordo degli amici
È uscito un volume dedicato a don Giuseppe Cenacchi, morto nel 2002, protagonista della vita culturale ferrarese
di VALENTINO PESCI
“Don Giuseppe Cenacchi (1931-2002). Prete, filosofo, giornalista, amico”. Il titolo del libro, edito in questi giorni e già introvabile, rende omaggio alla figura straordinaria di questo sacerdote. A dieci anni dalla scomparsa, gli “Amici di don Cenacchi” gli hanno voluto dedicare una pubblicazione che ne ricorda la poliedrica attività. Il libro è uscito dalla tipografia con un anno di ritardo rispetto al programma, ma è valsa la pena aspettare. Il prodotto finale, realizzato a più mani, è davvero completo e rigoroso come sanno esserlo tutte le pubblicazioni della collana “Analecta Pomposiana”, curata da monsignor Enrico Peverada, che raccoglie studi di storia religiosa delle diocesi di Ferrara e Comacchio.
Don Giuseppe Cenacchi ha attraversato diverse generazioni di giovani e in tutti ha lasciato una traccia indelebile. L’arcivescovo Caffarra, oggi cardinale a Bologna, lo ha definito, felicemente, “un educatore dello spirito”: nell’insegnamento dato per anni in Seminario, nell’assistenza spirituale alla Fuci, la Federazione degli universitari cattolici di Ferrara, «feconda di uomini e di donne che oggi testimoniano Cristo con competenza e fedeltà nella professione»; nella direzione del settimanale diocesano “La Voce”, che sotto la sua guida conobbe il massimo della diffusione. Ancora, Don Cenacchi è stato vicino a tanti con l’insegnamento “guidandoli dentro all’enigma del vivere verso la luce” .
Nel libro scorrono i fotogrammi di un’operosità fuori dal comune, dall’impegno nella parrocchia cittadina dell’Immacolata all’Azione Cattolica, dall’attività di docente alla pastorale, prima con monsignor Natale Mosconi come segretario del nascente Consiglio Pastorale Diocesano (1969-70), poi con monsignor Filippo Franceschi (dal 1979 al 1981) come vicario per la pastorale diocesana ed ancora come appassionato sostenitore e collaboratore della Fisc, la Federazione italiana dei settimanali cattolici, di cui fu responsabile della commissione cultura negli anni in cui veniva elaborata la figura pastorale dei settimanali cattolici, secondo l’aggiornamento conciliare che li voleva radicati nel territorio e propagatori della voce della Chiesa nelle comunità locali.
Prete ma soprattutto educatore, più con l’esempio che con le parole, mai e poi mi con la coercizione. Il suo impegno educativo era finalizzato a forgiare l’uomo e, in particolare, con l’uomo in divenire _ affermava _ bisognava usare uno stile appropriato e conoscere bene la dinamica del seminare e del raccogliere, del dare e del ricevere. Uno degli autori del libro, don Andrea Zerbini, scrive: «Don Cenacchi aveva il senso della prossimità come servizio di fedeltà all’uomo, senza contropartite e privilegi di sorta, prossimità alla persona, ai gruppi sociali, alla comunità, prossimità e grande attenzione al territorio, senso mutuato soprattutto attraverso il suo lavoro di collaborazione alla Fisc, territorio inteso come luogo della gente, delle loro situazioni di vita, delle loro condizioni».
Senso della prossimità ma anche senso della mediazione nei suoi rapporti con la gente, che riusciva a trasformare in consapevolezza.
Nato a Voghiera, affascinato dalla personalità del proprio parroco, don Crepaldi era entrato in Seminario, in via Cairoli, ancora ragazzino. Qui, nel cammino verso il sacerdozio, scopre quella che diventerà il perno della propria attività di studioso, la filosofia.
«Due - affermava - sono le qualità fondamentali da insegnare e da imparare: la capacità di critica e la capacità di essere libero. Nella critica c’è la prima condizione della libertà interiore per la scoperta completa dell’io; e nella capacità di essere libero c’è l’esercizio effettivo della libertà».
Il percorso filosofico di don Cenacchi si apre alla totalità dell’esperienza. Il conoscere, per la sua formazione metafisico-tomista, è l’atto di prima intenzionalità, adesione attiva, immedesimazione. Nella sua ultima opera scriveva: «Nella filosofia contemporanea si va diffondendo, più di quanto non sembra, l’emergenza della nostalgia dell’essere, nel senso che tale nostalgia pervade, come arcano movimento, il ritorno al passato, la memoria del presente, la pregnante attesa del futuro, ben oltre il tempo che fugge e la memoria labile. Non tanto per il tramonto quanto per il risveglio di una non debole sicurezza, che adombra il pensiero e le opere, tesi verso approdi per afferrare l’invisibile in fase di svelamento, penetrato da brividi esistenziali, da sapori innocenti e da tenaci fedeltà». Di qui la sua convinta e incessante partecipazione al faticoso cercare umano.
Dalle testimonianze raccolte nel libro dedicato a don Cenacchi emerge una figura che sembra tenere in una mano il Vangelo e nell’altra il giornale, il suo giornale, la “Voce”, che ha diretto per tantissimi anni, facendone un punto di vista autorevole in una provincia a lungo monopolizzata da un solo quotidiano. La “Voce” è stata la sua parrocchia speciale. A chi gli chiedeva «ma la Voce è proprio necessaria?» rispondeva deciso: «Sì, cari amici, è necessaria e non ne possiamo fare a men . Una eminentissima personalità ha detto che il foglio cattolico è indispensabile non solo perché mette in rilievo la voce della Gerarchia e soprattutto quella del Papa, ma perché offre la chiave di lettura cattolica all’avvenimento. Vedete, gli altri giornali possono riportare fedelmente le voci della Gerarchia ecclesiastica ma l’interpretazione cattolica di tutta la realtà è offerta alla conoscenza del lettore solo dai giornali che vivono della vita e dello spirito della Chiesa».
Don Cenacchi ascriveva un merito alla sua “Voce”, quello di aver tenuto unita la comunità ecclesiale ferrarese, evitando ogni pericolo di frattura e di gesti clamorosi. Lui - e sono copiose e all’unisono le testimonianze che emergono dal libro - si è sempre battuto perché Chiesa e cattolici ferraresi procedessero uniti, senza mortificare il pluralismo delle opinioni e la creatività degli atteggiamenti. Voleva, insomma, che all’interno della comunità sgorgasse un dibattito aperto, sincero e senza complesso.
Don Cenacchi, l’amico. Il suo sorriso perennemente stampato su quel faccione dominato da un paio di occhiali da vista grandi sempre, era una sorta di rompighiaccio al primo contatto. Sapeva ispirare fiducia, subito. Ha avuto una folla di amici, di ogni strato sociale, di ogni età. Aveva un’innata duttilità nell’adattarsi ad ogni situazione, nello stare accanto a un potente o a un povero. Era a proprio agio soprattutto fra i giovani e soffriva fino alla commozione quando vedeva spegnersi ragazzi portati via da mali incurabili. Memorabili tanti suoi articoli dedicati a queste giovani vite spezzate dove una sorta di amore paterno sembra prevalere su ogni altra dissertazione.
Aperto come un libro, è stato facile per chi gli è stato vicino rubargli aneddoti, parole, pensieri, insegnamenti e sorrisi. Forse nessun direttore di giornale a Ferrara ha avuto tanti allievi come li ha avuti lui. In tempi di carestia di ideali e di passioni, la reazione della “Voce” in via Montebello era un approdo, un habitat dove la passione per la scrittura poteva mettere radici. Si stava bene accanto a qual prete dall’energia creativa, dalla penna straordinariamente dotata, dal gusto per il paradosso, dalla fine ironia, dalla battuta sempre pronta, dalla freschezza giovanile. Non diede mai del tu al potere politico, ma seppe guadagnarsi il rispetto di tutti in una provincia dove per anni le parti si sono affrontate come cani e gatti.
Questo il ritratto che gli “Amici” hanno voluto mettere a fuoco con questo libro.
Per i lettori della “Nuova Ferrara” è un motivo di orgoglio l’aver potuto apprezzare ogni domenica le sue “prediche”. Per tantissimi anni ha commentato la pagina del Vangelo per il nostro giornale. Parole semplici che sapevano scavare nei cuori.
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