Che trionfo questi fratelli Servillo
Grande successo per “Le voci di dentro”. Tra noir e ironia De Filippo racconta l’animo umano
di Fabio Ziosi
Qu. esta volta cominciamo dalla fine. Dagli interminabili applausi e chiamate fuori, che il pubblico ferrarese ha tributato a Toni Servillo e alla sua compagnia l’altra sera al Teatro Comunale Abbado, per “Le voci di dentro” di Eduardo De Filippo (in replica sino a domani) che conclude la stagione di prosa. Un teatro stracolmo come da tempo non si vedeva. Un trionfo. Un trionfo per l’attore e regista napoletano e un trionfo per chi ama il teatro e per chi vede nel teatro uno dei punti di difesa della cultura con una forte - se non unica - capacità di far riflettere e di mostrare che quello che si vede in scena non è altro che il nostro mondo. E la coppia Toni Servillo-Eduardo De Filippo è il massimo che si possa chiedere per questa riflessione collettiva.
Con “Le voci di dentro”, scritta nel dicembre del 1948, Eduardo mette al centro l’uomo e la sua degenerazione, che non colpisce il singolo, l’unico e consolatorio colpevole, ma tutti, quelli normali che incontriamo ogni giorno. Addirittura dentro la famiglia stessa: anche questo baluardo crolla miseramente. La storia è semplice: Alberto Saporito (Toni Servillo) denuncia alla polizia l’omicidio di un suo amico da parte della famiglia Cimmaruta, sua vicina di casa. La polizia però non trova le prove e Alberto pian piano si rende conto di aver sognato tutto questo. Torna sui suoi passi, scagiona i Ciammaruta ma questi, invece di avere una sdegnata e forte rivolta contro l’accusatore, cominciano a incolparsi l’un l’altro dell’omicidio.
Tutto è inutile, tutti sono convinti che Alberto abbia le prove, che abbia “le carte” e a turno tutti gli chiedono di “cacciare le carte”, di tirarle fuori perché il loro sospetto possa diventare realtà. Il marito contro la moglie, la moglie contro il marito, i figli contro il padre, gli zii contro i nipoti. «Voi avete sospettato l’uno dell’altro - dice alla fine Alberto - e un assassinio lo avete messo come una cosa normale. Come facciamo a guardarci in faccia?». Nessuno è buono, tutti sono cattivi; per assurdo l’unico buono è proprio Toni Servillo che, una volta rinsavito dall’accusa iniziale, fa di tutto per far comprendere che il suo era solamente un sogno. Il tradimento Alberto Saporito lo prova anche dentro la sua stessa famiglia, quando il fratello Carlo (Peppe Servillo) gli vuole far firmare una carta per avere lui in eredità il “patrimonio” di famiglia. Anche la ricomparsa sulla scena della presunta vittima, che si era solamente allontanata da casa per alcuni giorni, non mette le cose a posto. Nessuna redenzione, anche se non c’è stato il delitto.
Forse perché il delitto è dentro di noi e aspetta solo un’occasione per uscire fuori. Tutto questo clima noir viene contemporaneamente stemperato ed ulteriormente esaltato dall’ironia e dalle risate che accompagnano tutta la commedia. Nella scena conclusiva, tutti escono dalla casa dei fratelli Saporito, e loro rimangono soli, seduti su due sedie ai lati opposti del palco, nessuna parola solo un interminabile silenzio con Carlo-Peppe Servillo che si addormenta e Alberto-Toni Servillo che si chiude la testa tra le mani, prima che il buio decreti la parola fine. Tutti bravissimi, naturalmente a partire da Toni Servillo, poi il fratello Peppe e via via tutta la compagnia. Tutti bravissimi. Da Oscar.
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