La Nuova Ferrara

Ferrara

«Un mercato delle vacche appalti e lavori a Cona»

di Daniele Predieri
«Un mercato delle vacche appalti e lavori a Cona»

In aula Pinelli, imputato-testimone che accusa sulla variante 1: «Era fasulla» «Errani ci diceva di non fare il migliore degli ospedali e di chiudere il cantiere»

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«Il presidente Errani ci diceva di non fare l’ospedale migliore del mondo, ma che funzionasse, e di chiuderlo subito! Soprattutto di non fare varianti». Non ne poteva più Errani di cercare risposte che non sapeva più dare sui tempi di chiusura del cantiere infinito dell’ospedale di Cona, ricorda Marino Pinelli: lui, dirigente della sanità pubblica, pagato 120mila euro l’anno per coordinare il progetto Cona, era stato chiamato nel 2003, proprio da Errani e dall’ex sindaco Sateriale, per finire i lavori, ora finiti sotto processo. Pinelli, dal processo Cona, è già uscito (unico oltre gli 11 imputati ad esser condannato in udienza preliminare: 1 anno). Unico tra gli imputati ad aver aiutato l’accusa (ieri in aula come teste della pm Castaldini) dopo avere sostenuto che le varianti, costate milioni di euro in più, furono pagate due volte perché rientravano già nel progetto esecutivo iniziale: soprattutto la variante uno (la Pv1, su aula magna e ampiamento laboratori) che ha ribadito ieri essere fasulla: «sono stato condannato per quella!» ricordando che è ancora aperto il contenzioso civile tra Sant’Anna e Progeste. Lavorare come coordinatore amministrativo del progetto Cona non era facile, per Pinelli. Anche per un manager con esperienza ultratrentennale come lui, perché era come essere al «mercato delle vacche», diceva al telefono - intercettato - con Carlo Melchiorri, il direttore dei lavori di Cona. Quelli che mercanteggiavano, sui lavori all’ospedale e non le vacche, erano le aziende legate a Progeste, concessionario dell’opera pubblica che non voleva rimetterci sui lavori: essendo concessionario dell’opera, Progeste veniva pagata chiavi in mano in base al progetto esecutivo, tutto ciò che variava erano spese a proprio carico. Tecnici e responsabili di Progeste, dunque, per questo motivo ridefinivano continuamente accordi e contratti, battevano cassa, innescando le reazioni al telefono tra Pinelli e Melchiorri, che li definivano, quelli di Progeste, «bifolchi, ignoranti». La colpa delle aziende che costruivano l’ospedale di Cona negli ultimi anni era stata quella di aver fatto «quelle porcherie lì» (sempre telefonate tra Pinelli e Melchiorri, intercettate durante l’inchiesta) . Lavori a capocchia come i diaframmi del tunnel, del cunicolo di servizio sotto l’ospedale, i massetti ribassati per installare i bagni, con spessori che non garantivano più la sicurezza dei solai. Per ovviare a questi «fatti nuovi e necessari», ha riferito Pinelli, occorreva «correggere gli errori». Correzioni che arrivavano da chi doveva controllare il «mercato delle vacche». Uno dei massimi «controllori» era Carlo Melchiorri, direttore lavori Cona, che Ruben Saetti, presidente Progeste, al telefono con Pinelli, liquidava così: «il direttore dei lavori è un pazzo», perché non riconosceva a Progeste soldi aggiuntivi, per lavori sbagliati e da rifare. Anche Pinelli era un «controllore» che avrebbe dovuto conoscere le fasi del cantiere e le richieste al «mercato delle vacche». Invece, solo nel gennaio 2012, Pinelli ebbe la «rivelazione» (ironizza il legale di Melchiorri, l’avvocato Valgimigli che parla di ‘Teorema Pinelli’). Perché, dopo aver ricevuto i primi atti giudiziari a suo carico, denunciò con una lettera, prima al direttore generale Rinaldi e poi alla procura di Ferrara il pasticcio delle varianti, che permise di modificare e aggiustare il progetto iniziale dell’ospedale, non sapeva nulla. Agli assalti di Progeste, poi si sommavano gli «assalti alla diligenza, quella dei primari», aggiunge Pinelli, che volevano tutto e di più. Assalti che costavano. Soldi pubblici, quelli spesi in più rispetto alle previsioni, per cui oggi siamo a processo.