Bassani e Rossi, forte legame nella letteratura e nella vita
Cugini, poeti e scrittori, sono morti nell’aprile 2000 ad un giorno di distanza Giorgio costretto ad uno pseudonimo diventò Nino R. in onore di Gianfranco
di Giuseppe Brescia
“A. Giacomo Marchi / la corona dei giorni / splendidi è infranta / pur se lucerna incanta / il sentiero ai ritorni./ Nino R.”: è il testo della dedica suggestiva vergata da un amico per Giorgio Bassani nell’autunno del 1943, sul frontespizio della prima edizione della “Albertine desparue” di Marcel Proust ( v. il catalogo di Micaela Rinaldi, “Le biblioteche di Giorgio Bassani”, Guerini e Associati, Milano 2004, riproduzione fuori testo e voci nn. 1643, 1-13).
Lo pseudonimo fu creato dal chiaro scrittore, per Una città di pianura, a seguito della emanazione delle leggi razziali del ’38. “Nino R.”, più che risalire a un incerto “Nino Ravenna” (la prima ipotesi formulata nel saggio “Bassani storicista e francesista. Tra Croce e Proust, per tacer d’altri”, ottobre 2012), è invece con ogni probabilità il cugino, poeta egli pure, Gianfranco Rossi. Il riferimento storico è alla tragedia delle leggi razziali e della deportazione (“la corona dei giorni splendidi è infranta” ), con l'intensità di evocazione lirica (“pur se lucerna incanta”) che nostalgicamente tocca l'aspirazione al rimpatrio (“il sentiero ai ritorni”). Ma la circostanza più importante filologicamente, e insieme rivelatrice di uno spartiacque nella ricezione di Proust da parte del Bassani, è la commovente scoperta che la “Albertina scomparsa”, cui si allude nel testo della dedica poetica, è in effetti persona reale, vivente, oggetto di deportazione. È la “Magrini Bassani Albertina”, come recita, per una dei “Novantasei corpi martoriati / Della comunità di Ferrara. / In questa pietra il loro nome / Fra le braccia dell'eterno / L'anima immortale” , la ’lapide di Via Mazzini’ 95 (titolo anche del noto racconto bassaniano del ’56, il cui protagonista Geo Josz, nipote di Daniele, deve scomparire, a causa della mancata integrazione nei Circoli di Ferrara ). Proust, allora, non è più soltanto il poeta della “madeleine” e delle “intermittenze del cuore”, in generale; ma il momento ispiratore di una lezione “storicistica” che rilegge il passato alla luce di un “problema” presente (è la lezione di Croce, “Teoria e storia della storiografia” del 1917, testo studiato e poi custodito nella Biblioteca Bassani, dove è registrato alla p. 305 del catalogo della Rinaldi). Noterò, di nuovo, che il “Tempo Ritrovato”, l’ultima sinfonica e fascinosa sintesi della proustiana “Recherche”, è intonso nella copia originaria della Biblioteca Bassani. Tutti gli altri tomi, invece, riportano “sottolineature e postille a matita blu e lapis nero”, per segno di interpretazione “figurale”. Auspico, per parte mia, che in questi testi non vi si sfogli né aggiunga nulla: nemmeno un puntino, come nella Storia semplice del grande erudito narratore Leonardo Sciascia, essendo in questo caso la filologia momento costitutivo della “interpretazione”.
Gianfranco Rossi e Giorgio Bassani sono sepolti assieme nel Cimitero ebraico di Ferrara, là dove la città si fa campagna e la campagna entra nella città. È notevole che il caro cugino era nato in Ferrara il 3 novembre 1931 e quivi morto il 12 aprile del 2000, di religione ebraica “per discendenza piuttosto che per vocazione”, come amava dire a Emilio Diedo (“Gianfranco Rossi scrittore ferrarese”, in “Punto di vista”, 35/2003). Riparò in Svizzera dal dicembre 1943 al luglio del ’45. Giornalista e poeta, scapolone innamorato di gatti e animali, collaborò a Gazzetta Padana, Resto del Carlino, Paragone e Il Caffé, prestigiose riviste letterarie quest’ultime, che avevano in Bassani un autorevole collaboratore o condirettore.
Rossi ebbe per cari amici, fra gli altri, Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte, collaborando a Tempo Presente, rivista di testimonianza etico-politica da essi fondata. Fino all’ultimo, lo ricercavano per conversare il professor Giovannelli, Guido Fink, Maria Elena Cariani e tanti allievi ed amici. Scrisse fra le altre cose, La contentezza (1981), Il trionfo dello sciamano (1984), I sogni ricorrenti di Biagio Balestrini (1986), L’intreccio (1989), Puttaneggiar coi regi (1993), Conversazioni col silenzio (1995) e Gli anni del buio (1997).
Nel 2001 lo scrittore ferrarese Roberto Pazzi, citando a sua volta un contributo critico di Paolo Vanelli, rinveniva, in lui e in Bassani, “lo sguardo tra realistico e metafisico su Ferrara”, assurta a “simbolo universale della vita” (v. “La sfida di scrivere di Ferrara dopo Bassani” in “Ferrara”, n. 14, 6/2001). È notevole che il caro scrittore, maestro e amico di sensi letterari e civili (fino alla difesa del paesaggio di Castel del Monte, in Puglia, e alla interpretazione drammatica del Caravaggio a Messina, dimenticato in recenti studi), finisse la propria giornata terrena solo poche ore dopo, il 13 aprile 2000, come non di rado accade tra persone sempre affettivamente collegate. Come se “il sentiero ai ritorni” ancora parlasse di lontano ai loro cuori; e la fiaccola tremolante della “lucerna incantata”, sepolta solo per gli sprovveduti, illuminasse a intermittenza, ma tenacemente, le solidali parabole di vita.
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