La Nuova Ferrara

Ferrara

Allevi, al Comunale un inevitabile successo

Applausi ancora prima delle esecuzioni, introdotte dalle sue spiegazioni: ma questa non è musica classica

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Capire il successo di Giovanni Allevi? Basta leggere qualche pagina di uno dei suoi libri o assistere a uno dei suoi concerti. Criticare Giovanni Allevi? Basta leggere qualche pagina di uno dei suoi libri o assistere a uno dei suoi concerti. Tutto qui il fenomeno da cinque dischi di platino che l'altra sera ha strabocchevolmente riempito il Teatro Abbado per l'ultima tappa del suo Tour 2014.

Allevi sa di non essere un pianista inappuntabile, lo dice in uno scritto: «Ha ragione chi afferma che esistono centinaia di pianisti più bravi di me. Loro non sbagliano una nota... e suonano Liszt con una postura impeccabile quanto il loro frac». Ma poi si assolve e chiede l'assoluzione a chi lo sta ascoltando, dichiarandosi il pianista compositore della Musica Classica Contemporanea. Una categoria che non esiste, inventata dal suo management e propinata a chi di musica classica se ne intende ben poco e “crede” che Allevi esegua veramente musica classica. No, il quarantacinquenne marchigiano suona semplicemente dei propri brani della durata mediamente variabile fra i tre e i sei minuti, certo carezzevoli, ricchi di arpeggi e ripetizioni motiviche, temi facili con suoni legati, sussurrevoli, e una postura che incanta, alla Schroeder, il bimbo musicista di Peanuts seduto ininterrottamente al suo pianoforte giocattolo. E come in un fumetto, quando Allevi entra in scena e affronta la tastiera sembra veramente il creatore predestinato, l'artista che tutto comunica e nulla ritiene di sé, che si concede vizi e virtù al proprio pubblico, che ironizza sui propri atteggiamenti e tic, e si fa beffe degli atteggiamenti altrui quando lo coinvolgano in maniera a lui sgradita. Anche a Ferrara è comparso in scena correndo, a braccia alzate, mandando baci di su, di giù, a destra e a manca, maglietta, jeans e tennis, più hippie-chic che casual.

Racconta ogni suo brano prima di eseguirlo, la genesi, il significato, l'intenzione del risultato, a volte filosofeggiando (Allevi ha una laurea in filosofia) come stesse raccontando una parabola, a volte citando se stesso («Ai giovani studenti di Composizione che mi scrivono di nascosto ai loro insegnanti rispondo: non esiste testo di didattica che insegni come si compone al meglio, vanno tutti bene. Ma... voi fate come me, andate incontro alla vita, che è il più bel libro di composizione!»). Poi suona Room 108 che è la camera d'albergo newyorkese dove ha dormito la notte del suo primo concerto americano. Altri racconti seguono, e altre sonate pianistiche, sempre suadenti, seducenti, sussurrate e sospirate; come sussurrate e sospirate sono le sue parole quando si rivolge al pubblico che lo ascolta estatico, pronto all'applauso spellamani, incline al «bravo! bravo!» giubilante a prescindere, prima dell'esecuzione, semplicemente all'annuncio del titolo. Il concerto dura meno di 90 minuti, tutti d'un fiato, bis compresi. Poi Allevi se ne va e il suo pubblico sciama commentando, ben contento per la serata.

Athos Tromboni

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