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«Non abbandonate i pazienti fragili»

«Non abbandonate i pazienti fragili»

Sclerosi multipla, l’assistenza ospedaliera non basta a rendere dignitosa la vita dei malati. Uno studio della Bocconi

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Nel gioco dell’oca della sanità la regola principale, oggi, è non saltare nessuna casella. Chi lancia i dadi - paziente, parente, gestore, imprenditore - prima o poi si fermerà sul quadratino del «malato» poi su quello del «vincolo di bilancio», su quello della «dignità della persona», della «sostenibilità dell’intervento», della «fragilità del contesto», del «ruolo della comunità» e così via. Nessun salto miracoloso è previsto, neanche come bonus, in tempi di spending review perchè di spazio per ridurre lo spreco di risorse o «ottimizzare» il loro impiego ce n’è ancora. Tanto più se l’ammalato si presenta come un «caso paradigmatico» per tutti i tipi di cronicità, un modello che si adatta in particolare - come ha precisato ieri la ricercatrice della Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi, Valeria Tozzi - ad una delle patologie più invalidanti oggi conosciute, come la sclerosi multipla. La Neurologia del S. Anna assiste circa 500 pazienti che presentano diversi stati di disabilità, in Italia gli ammalati sono circa 68mila con 1800/2000 nuovi casi all’anno. Nel mondo si stimano 2.5 milioni di persone che necessitano di assistenza e cure. E il costo, come sa bene chi si ammala o chi lo assiste, è salato.

Come ha spiegato ieri Salvatore Ferro, della direzione generale Sanità della Regione, va dai 6mila o 9mila euro l’anno ai 22mila, a seconda del tipo di terapia, «e man mano che si scoprono nuove molecole la spesa tende a lievitare. Sarebbe quindi importante verificare in dettaglio l’efficacia di ogni singolo farmaco nel ritardare i sintomi della malattia. Ai professionisti e ai gestori delle aziende sanitarie vogliamo trasmettere questo messaggio: oggi è sempre più indispensabile combinare la garanzia dell’equità dell’accesso per tutti i pazienti con l’appropriatezza della terapia». Insomma capire se e quanto il farmaco sia efficace e se il risultato ottenuto giustifica quella spesa «perchè se utilizzo male una parte delle risorse su alcuni pazienti» altri pazienti ne trarranno uno svantaggio.

La ricerca condotta dalla Bocconi in collaborazione con l’equipe della prof. Maria Rosaria Tola, della Neurologia del S. Anna, presentata ieri nella sala congressi del polo di Cona, ha monitorato nel 2010 439 pazienti presi in carico dal Centro Sclerosi multipla dell’ospedale. E accanto la parametro della disabilità, che può raggiungere livelli elevatissimi, è stato inserito quello della «fragilità socio-ambientale» che è in parte autonomo e in parte dipendente dall’aspetto sanitario: lavoro, famiglia, disturbi della sfera cognitiva e psichiatrica. La presa in carico del malato significa «garantire sempre la dignità alle persone», ha osservato l’assessore regionale Patrizio Bianchi. Prima di lui il sindaco Tiziano Tagliani aveva sottolineato il ruolo delle «associazioni, del volontariato e della cooperazione» nell’assistenza al paziente che necessita di un trattamento non solo farmacologico e ospedaliero, incontrando il plauso del presidente del Comitato consultivo misto del S. Anna, Maurizio Camattari. La sclerosi multipla, ha ricordato Paolo Cortesi (Università Bicocca) colpisce soprattutto le donne (rapporto 2:1) nella fascia d’età (30-59 anni) in cui si è chiamati a fornire il maggior contributo alla «produttività».

Se l’ammalato non è inserito in un circuito di affetti solido e collaborativo, se la famiglia non c’è o non sostiene il paziente si rischia la «triplicazione dei ricoveri» e la «quadruplicazione del consumo di risorse». «Bisogna rivedere i modelli tradizionali di presa in carico», ha aggiunto Valeria Tozzi. Il direttore generale del S. Anna, Gabriele Rinaldi, ha tratteggiato il «percorso» integrato dell’assistenza, che deve poter contare anche «su medici di base, specialisti, volontariato, territorio. Niente soluzioni tappabuchi», perchè c’è una fascia di pazienti che rischia di non poter contare su nessuno. «Questo studio - ha riassunto Maria Rosaria Tola - getta un sassolino: bisogna andare a cercare e includere nei percorsi diagnostico terapeutici alcune fasce di malati che rischiano di essere o sentirsi abbandonati». (gi.ca.)