Su Valle Campo resta il fantasma Sivalco
In totale abbandono l’impianto pilota risalente agli anni ’70 e i tetti in cemento amianto contrastano con l’ecosistema
LIDO SPINA. Un cartello sul ciglio della Romea dice: “Valle Campo, escursioni nella storia”. Svoltiamo e percorriamo una strada ghiaiata. Acqua a destra, acqua a sinistra, postazioni per il birdwatching con tanto di “pareti mimentiche” per non disturbare il sistema faunistico. È bellissimo. Ma proseguendo verso la fine della via si vede un complesso edilizio che non ha nulla da spartire con le antiche case dei pescatori. È l’impianto pilota di un progetto mai realizzato.
Il suo nome è Sivalco, omonimo della società per azioni costituita nel 1973 con la partecipazione della Regione, del Comune di Comacchio, della Provincia di Ferrara, dell’Ersa e la Sopal (gruppo Efim). Il suo obiettivo era condurre impianti sperimentali per l’allevamento intensivo di alcune specie ittiche. Tra queste, insieme all’anguilla, era forte l’interessamento per l’orata e per il branzino. Come dicevamo, il primo (e unico) impianto realizzato è quello che tuttora si trova a Valle Campo anche se ormai è in disuso da oltre vent’anni. Al suo interno le indelebili tracce del tempo. Un tempo che non ha concesso sconti. Le vasche in cemento armato che servivano per l’allevamento del pesce giovane che poi, una volta cresciuto, veniva trasferito nelle vasche esterne in terra battuta, realizzate attraverso la bonifica di certe aree.
«Sivalco voleva portare nelle Valli di Comacchio un’esperienza di vallicoltura intensiva di pesce. L’impianto - spiega Valter Zago, ex presidente Parco del Delta - è rimasto in funzione per circa una decina d’anni dopodiché sono cominciati i problemi. In quegli anni iniziò ad aprirsi il mercato internazionale, la concorrenza aumentava e nell’impianto i costi della produzione superavano i profitti». Fu allora che la Sopal, che aveva la maggioranza del capitale azionario, pose gli altri soci davanti ad un aut aut: «Propose di gestire solo Valle Campo (un’area di 1700 ettari) e il “suo” impianto pilota. Gli altri circa 6mila ettari, tanto è l’estensione delle valli, sarebbero toccati al Comune di Comacchio che però, disse non essere in grado di gestire da solo. La proposta venne rifiutata e la Sopal si chiamò fuori».
Dopo si tentò di recuperare, di tenere in piedi tutto attraverso una “Sivalco 2” ma servì a poco. L’impianto pilota finì nel dimenticatoio e la struttura cadde in rovina. Al suo interno anche numerose Marotte (barche appositamente create per l trasporto delle anguilel), tutto in disuso, tutto sprecato. «Ai miei tempi avevo proposto di bonificare e musealizzare l’area. Immaginavo una struttura con mostre di arte povera e magari un percorso che raccontasse com’è cambiato nel nostro territorio il rapporto tra l’uomo e la pesca», conclude Zago. Tutto questo ora sembra molto lontano. Lo spazio, oggi di proprietà demaniale della Regione, è irreparabilmente compromesso.
Le quantità di cemento amianto sono consistenti e quel che è peggio, è che attualmente non si sa quando e come l’area verrà ripulita.
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