La Nuova Ferrara

Ferrara

Final di Rero quando sembrava un po’ il Far West

di GIUSEPPE MURONI
Final di Rero quando sembrava un po’ il Far West

Viaggio storico nel piccolo centro sul Volano Dinastie di facchini cresciute sulle barbabietole

19 aprile 2014
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di GIUSEPPE MURONI

Protesi tra staticismo e conservatorismo, quindi fermi per definizione e rigidi per vocazione, gli abitanti del Grande Fiume sono sempre stati osservati, quindi conservati, in immagini, video e parole. La vena descrittiva attraverso cui si è tentato, negli ultimi anni, di rappresentare con nostalgia il complesso cosmo del Po denota la sua incontrovertibile trasformazione, preannunciata nel 1963 da Riccardo Bacchelli quando, invitato a scrivere per una guida, abbozzò scenari danteschi quanto realistici sul destino delle acque, martoriate dall'indole mortifera dell'uomo e ingabbiate da sponde e canali cementificati.

Un fiume defraudato della sua bellezza, del suo lirismo genetico e di quella vasta fauna di umanità che caratterizzava l'humus antropologico della civiltà fluviale e che Paolo Rumiz intravede, qua e là, nel suo recente itinerario.

Il Po arriva nella sua fase finale dividendosi in molti rami, - parafrasando il Corrado Govoni di "Uomini sul delta" - spartendo la bocca unica in tante bocche primarie e secondarie, e storcendole a destra e a sinistra quasi in cerca di scampo.

I rami minori hanno spesso subito il proprio ruolo di subalternità e raramente sono stati oggetto di contemplazione artistica. Vale anche per il Po di Volano, che lambendo Ferrara si lascia alle spalle il campanile di San Giorgio, iniziando l'ultimo cammino, in direzione della foce. Attraversa i campi agricoli della campagna ferrarese, incrocia Focomorto, Contrapò, Viconovo, Sabbioncello San Vittore, Borgo Poltronieri, Borgo del Sostegno, Valpagliaro e giunge a Final di Rero, stanco e assopito dal lungo tragitto, prima di proseguire verso la pampa italiana.

Il mito di Eridano, declinato nella sua dimensione rurale, porta con sé tutta la storia dei luoghi che ha attraversato, la corrente del fiume si impaluda e qui ristagna.

A Final di Rero ci siamo fermati per documentare e consultare il materiale degli archivi privati, cercando di mappare le testimonianze orali di alcuni indigeni locali. Nel medioevo qui finiva ("Finale") il canale Rero, che delimitava a ovest le valli del Polesine di San Giovanni.

Dalla toponomastica si evince come le genti di questo territorio siano sempre vissute, sin dai tempi remoti, in bilico tra terra e acqua, sfidando i pericoli provenienti dal fiume e cercando di mettere a frutto la terra dalla quale traevano sostentamento.

Finale è un piccolo borgo che si sviluppa lungo l'argine sinistro del Volano: una via di case attaccate le une alle altre, basse, bianche, con porte e finestre di piccola dimensione e qualche vecchia abitazione un po' più imponente nelle dimensioni, minacciate dall'umidità che esce a folate dalle acque.

È la cosiddetta "riviera", centro storico del paese nel quale vivevano le antiche famiglie della zona; poco più in là, seguendo le curve del Volano in direzione di Valpagliaro, troviamo case minute, esempi di architettura fluviale, qualche cascina restaurata e casolari abbandonati.

La vita agreste che caratterizza il Basso Ferrarese trova qui la sua vocazione acquatica, coabita con le acque languide del Po e si trasforma in vita di evasione, rappresentata dal fiume come fonte di fuga, di anarchia e di diserzione dalle logiche dell'ordine costituito. Questo status di vita sospesa tra terra e acqua non è esclusivamente la descrizione geo-morfologica del luogo e della popolazione che vi abita, ma assurge a descrizione cromosomica dell'ideal-tipo finalese: uomo che "sta alla fine", quindi abituato a viver la dimensione del confine, del limite, avvezzo ad oltrepassarlo per poi tornar indietro, con il rischio di rimaner ingabbiato in questo continuo andirivieni e restare, quindi, confinato ed escluso.

Fu terra di operai agricoli, di pescatori, di facchini, di ambulanti, di riottosi e di dure proteste durante il fascismo, come quella organizzata da Destino Mucchi quando, nell'aprile del 1931, protestò assieme a dieci compagni indossando per alcuni giorni un fazzoletto rosso al collo.

Allora in quel tratto del Volano che andava fino a Denore, lavoravano circa 1200 operai, il malcontento era tanto a causa della paga modesta e per la violenza manifestata da alcuni fascisti locali, soprattutto dal Secchieri (ispettore di zona dei sindacati fascisti di Denore) che diverse volte aveva tenuto atteggiamenti di violenza gratuita nei confronti dei lavoratori. Era un periodo in cui si stava risistemando l'asse fluviale per la navigazione interna della provincia, con la costruzione della conca di Pontelagoscuro e, nel 1933, di una parte del Canale Volano, che fu ampliato fino al mare Adriatico.

Il "Corriere Padano", il 7 ottobre 1933, apriva la pagina della cronaca di Ferrara annunciando "Le grandi opere del regime.

La conca di Valpagliaro", un escavo di 81 metri di lunghezza, eseguito impiegando mano d'opera locale, trasportando la terra a mezzo di vagonetti decauville e carriole, per una spesa di oltre 12 milioni di lire. Di li a poco sarebbe sorto il polo industriale di Migliarino e quello di Tresigallo; Final di Rero era, quindi, snodo viario importante in quanto intersezione dell'asse stradale - rappresentato dalla nuova via del Mare- e dell'idrovia.

Nel 1934 viene, poi, costruito il ponte, porta d'accesso al Basso Ferrarese, prima d'allora isolato. È il totem della comunità, forse l'unico simbolo identitario del piccolo centro; era il luogo preposto ad una sorta di rito d'iniziazione rappresentato dal tuffo dall'ala del ponte verso l'acqua del fiume. Era il gesto che segnava il passaggio all'età adulta.

La zona adiacente della darsena era popolata da umili imbarcazioni utilizzate dai pochi pescatori che, in tempo di crisi, vivevano pescando carpe e pesce-gatti.

Oggi è difficile comprendere l'importanza e la centralità che il fiume ebbe per la vita del territorio durante i primi sessant'anni del Novecento: tutto accadeva lì, ci si faceva il bagno, con asciugamano e sapone, si lavavano i panni e si commerciava. Si viveva.

Era singolare il commercio della barbabietola su fiume: Final di Rero diventava sede di pellegrinaggio di piccoli coltivatori che arrivavano in paese con carri ricolmi di barbabietole trascinati da mucche, con piccoli rimorchi tirati da cavalli, e con trattori.

Si dirigevano verso la zona in cui vi era un'enorme piastra metallica che faceva da pesa, avveniva la pesatura, poi i rimorchi scendevano verso il porto, venivano posizionati su scivoli di legno adiacenti al fiume e i prodotti cadevano nel barcone il quale, attaccato con funi grosse e lunghe diversi metri ai muli, raggiungeva via acqua lo zuccherificio di Migliarino. Le dinastie dei facchini - sette, otto famiglie - svolgevano un'attività massacrante, spostando ogni giorno tonnellate di merci a contatto con la sporcizia e la polvere che si creava sulla banchina.

La durezza della vita agricola che si fondeva nella non meno logorante vita di fiume faceva si che i luoghi di aggregazione, veri spazi di espiazione della fatica, fossero numerosi e sempre affollati.

L'Osteria del Gatto Nero (oggi Osteria del Ponte) e l'Osteria da Ferruccio (oggi Wilkins Pub) erano i classici posti in cui le bevute serali si concludevano in rissa e baruffe notturne, riassumibili nella coniazione di Diego Marani quando descrive i finalesi come "zingaresca e chiassosa tribù".

C'era un negozio di generi alimentari aperto nel 1939 da Romildo Bianchini e Teber Bianchini (ha esercitato fino al 1973), in cui i prodotti erano ammassati come in un locale da far west: ci si trovava di tutto, dal tonno sfuso, all'olio e al latte sfuso, dal carburo alla frutta e verdura. Un altro negozio di generi alimentari (ora tabaccheria) era di Manoli Tarcisio. C'era una scuola elementare, una posta, il barbiere la casa del popolo, chiamata volgarmente "sindacato", Ermes Gnani col somaro Pippo, Frank Zaccaria e Vito Pavani che facevano da servizio pubblico, taxisti ante litteram, Gino Ravani ambulante di polli, Tony Mistri ambulante di stoffe e Venanzio Rocca che, colto da inspiegabile ispirazione, scrisse sull'entrata della lavanderia la frase biblica "colligite congregate in horreum meum".

La voglia di riscatto, nel corso del tempo, è confluita nell'abbandono della propria terra, nell'emigrazione di massa. Oggi Final di Rero è un paese nuovo, rifondato dall'imperante speculazione edilizia che l'ha trasformato in paese ricco di villini dormitorio di forestieri che, quotidianamente, emigrano per recarsi al lavoro.

Le osterie sono state riconvertite in pizzerie, la vecchia darsena è vuota, non ci sono più pescatori, nessuno fa più il bagno e i contadini son scomparsi. Come suggerì Eric Hobsbawn le società moderne hanno ancora bisogno del rito e del mito per sentirsi vive, così si è inventata, qui, una nuova tradizione, la Sagra della Macedonia, ultimo collante.

Final di Rero vegeta in quello stato di incoscienza sorniona, sospeso tra un passato dimenticato e un futuro che appena si intravede.

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