La Nuova Ferrara

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PRIMA VISIONE

In quella sedia della felicità c’è tutto il cinema di Mazzacurati

di GIAN PIETRO ZERBINI
In quella sedia della felicità c’è tutto il cinema di Mazzacurati

C’è buona parte di tutta la filmografia di Carlo Mazzacurati nel suo ultimo lavoro, che sembra un vero testamento artistico. Il regista, recentemente scomparso, ha costruito con...

24 aprile 2014
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C’è buona parte di tutta la filmografia di Carlo Mazzacurati nel suo ultimo lavoro, che sembra un vero testamento artistico. Il regista, recentemente scomparso, ha costruito con il solito talento - che lo ha elevato ad uno degli autori più illuminati nell’ultimo quarto di secolo - una commedia arguta che rispecchia l'Italia di oggi.

Sempre attento ai fenomeni sociali, con opere particolarmente significative come “Notte italiana” (suo lungometraggio d’esordio nel 1987), “Il Toro”, “Vesna va veloce”, “La lingua del Santo” e “La giusta distanza”, Mazzacurati ci riporta ancora nel suo nord est, territorio che conosceva alla perfezione con quel senso di catastrofe che si respira nell’aria in questi tempi di crisi, ma anche con il desiderio di riscatto e di rialzarsi nonostante tutto e tutti. La metafora usata dal regista è una caccia al tesoro sempre in bilico tra la farsa e il dramma, dove i protagonisti cercano un bel malloppo nascosto nell’imbottitura di una sedia. L’ironia non manca mai come quel senso di leggerezza che permane pur affrontando temi pesanti. Mazzacurati ha voluto nel cast anche i suoi attori di riferimento, così ritroviamo sotto la dicitura “con l’amichevole partecipazione” un terzetto speciale composto da Antonio Albanese, Silvio, Orlando e Fabrizio Bentivoglio, con l’aggiunta di Roberto Citran è materia prima determinante in passato per la buon riuscita dei suoi film. Ma in questo suo ultimo lavoro il vero terzetto dei protagonisti è davvero magistrale con Valerio Mastandrea (che non sta sbagliando un film), Isabella Ragonese (perfetta in ruoli tragicomici) e Giuseppe Battiston (profeta in patria nel suo nord est). E alla fine rimane il rimpianto, nella consapevolezza di aver perso per sempre un grande artista e testimone di questa pazza Italia.