Montaldo e l’abbraccio di Bassani
Il noto regista ha dato vita ad una simpatica serata a Santa Maria: il ricordo dello scrittore ferrarese
Cambio di programma venerdì sera al Teatro Tosi di Santa Maria Maddalena, in occasione del settimo appuntamento della rassegna culturale “Parole d’autore”, con uno maestri del cinema italiano, il regista Giuliano Montaldo. Anziché l’annunciato film-documentario Quattro volte vent’anni (prodotto da Rai Cinema) in scena Un marziano genovese a Roma, libro autobiografico scritto assieme a Caterina Taricano e pubblicato da Felici editore per la collana cinema.
Raffinatissimo in giacca blu, pantalone chiaro con risvolto, camicia bluette e cravatta in tinta su cui spicca un cardigan rosso carminio abbinato a calzini della stessa tonalità, il regista genovese a dispetto dei suoi 84 anni mette in scena, fra applausi, aneddoti e battute, un vero e proprio show, con la moglie Vera Pescarolo in prima fila, pronta a prendere la parola per dare rilievo ad alcuni episodi. Non a caso l’autore dell’indimenticabile L’Agnese va a morire, inizia a raccontare il 24 aprile di 69 anni fa - tiene a ricordare che Genova fu liberata un giorno prima - quando, con il fazzoletto al collo e il tapum (il fucile) in spalla si dava un sacco d’arie scortando i prigionieri tedeschi. «In realtà io ero entrato nella Resistenza da pochissimo tempo e non è che avessi fatto molto».
Poi ricorda gli esordi in teatro: «Facevamo il teatro di massa. In realtà eravamo di più noi sul palco che gli spettatori. In uno di questi spettacoli mi vide Carlo Lizzani - Montaldo si commuove -, scusate ma era il mio maestro, il mio fratello maggiore. Mi chiese se volevo fare del cinema, pensavo scherzasse, ma ero al settimo cielo. Così incomincio la mia carriera da attore. Dopo questo primo film, partecipai a Cronache di poveri amanti, sempre di Lizzani e qui iniziai a preferire l’altra parte della macchina da presa».
Il primo film da regista: «Fu Tiro al piccione, stroncato dalla critica sia di destra che di sinistra. Mi sembrava che il piccione fossi io, volevo smettere, per fortuna ho incontrato l’amore della mia vita, Vera, che mi ha imposto di continuare».
Un passo indietro a testimoniare con un aneddoto la passione per il calcio: «Fu lo zio Serafino, personaggio stravagante, che all’età di 6 anni mi portò allo stadio. Purtroppo la nostra squadra ebbe la peggio e mio zio si accalorò talmente che se ne andò e mi lasciò da solo allo stadio Ferraris. Mi portarono a casa gli addetti del campo, avvolto in una bandiera rossoblù: da lì sono diventato genoano».
Montaldo è un fiume in piena, racconta il modo avventuroso della scelta di Ingrid Thulin per interpretare L’Agnese va a morire, poi il rapporto privilegiato con Gian Maria Volonté e i grandi film girati con lui: Sacco e Vanzetti e Giordano Bruno, nonché lo sceneggiato televisivo Marco Polo, vero e proprio colossal proposto nelle tv di 74 Paesi.
Prima di concedere dediche e foto non può non ricordare Ferrara: «Una città che amo molto. Quando, ho girato Gli occhiali d’oro è stata di una disponibilità incredibile. Ricordo che, alla presentazione del film a Venezia, Bassani era seduto al mio fianco. Ero preoccupato del suo giudizio, perché non avevo condiviso con lui la sceneggiatura. Finito il film, terrorizzato dal suo impenetrabile silenzio, mi abbracciò dicendomi che molti dei particolari descritti li avrebbe con piacere messi nel libro. Fu una grande soddisfazione».
Vincenzo Iannuzzo
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