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La verità è nell’inappropriabilità della terra

La verità è nell’inappropriabilità della terra

Alla Festa del Libro Ebraico pomeriggio in compagnia di Lerner e Dorfles: pensieri comuni contro idolatria e “statolatria”

30 aprile 2014
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Ieri pomeriggio nella Sala della Musica del Chiostro di San Paolo Donatella Di Cesare ha presentato il suo “Israele. Terra, ritorno, anarchia”, da poco uscito per Bollati Boringhieri. Insieme all’autrice era presente Gad Lerner, giornalista, scrittore e conduttore televisivo, e Shulim Vogelmann, il quale nella sua breve introduzione ha accennato alla speranza che «Israele in futuro diventi teatro di pace».

Gad Lerner, nel corso del proprio intervento ha riflettuto, con rara acutezza, sui temi centrali del libro. «La relazione con la terra, l’esservi, l’abitarla da forestieri» è tratto distintivo dell’ebraismo, della Promessa essenziale «Al senso, all’aspirazione messianica di Redenzione» di questo popolo. È, potremmo dire, condizione universale dell’essere umano su questa terra, per sua essenza mortale, “provvisorio”. «L’inappropriabilità» della terra, dunque, come antidoto alla sua «idolatria, a una degenerazione statolatrica del sionismo dal quale questo libro ci mette in guardia». Idolatria che, anche oggi, porta a una «militarizzazione delle coscienze», a «Un’autoghettizzazione», una «sacralizzazione della proprietà» antitetica all’idea di terra come dono divino, come tappa verso l’aldilà.

Di Cesare ha ripreso il filo del discorso parlando della «tragicità» del sionismo, un non-nazionalismo affetto appunto da «statolatria», e dello Stato d’Israele nato, paradossalmente - come diceva Hannah Arendt - nel periodo di declino degli Stati-nazione. La terra, ogni terra, al contrario «appartiene sempre all’altro», a chi ce l’ha donata ed a chi la doneremo. Per questo Israele può diventare - riprendendo il pensiero di Vogelmann - un futuro «laboratorio di globalizzazione», una comunità - non uno Stato, né due Stati - di pace e di dialogo.

Un’ora prima, invece, Piero Dorfles ha presentato il suo “I cento libri”. Ne ha discusso con l’autore Riccardo Calimani, presidente della Fondazione Meis ed ancora Shulim Vogelmann. Dorfles, noto per il suo ruolo di divulgatore letterario in radio e televisione, ha iniziato ricordando i suoi antenati, originari della Bassa Sassonia, e ha spiegato il titolo del suo libro, il quale raccoglie testi che hanno in qualche modo influenzano le espressioni del linguaggio comune e l’immaginario collettivo. «Il libro mette in moto una capacità analitica, decretativa», estranea a qualsiasi altra opera d’arte o medium. Per questo, «La lettura anche di un solo libro comporta un’astrazione assoluta» e, dunque, «un lavoro, un processo complesso», comunque «antinaturale», ma ineguagliabile. I libri che sopravvivono nel tempo sono quelli ricchi di «archetipi di comportamento umano ancor’oggi universali e vivi», come ad esempio “Pinocchio” di Carlo Collodi e “Delitto e castigo” di Fedor Dostoevskij. La forza della letteratura deriva dal suo essere fondata «Sull’immaginazione intesa come fantasia creatrice» e molta della forza dello stesso ebraismo risiede nel fatto che da oltre duemila anni questa cultura continua a produrre letteratura. Tra Grazia Deledda e Alberto Moravia, Franz Kafka e Romain Rolland, la relazione di Dorfles è stata un utile stimolo, non solo a leggere autori d’origine ebraica, bensì un incentivo a riconoscere nella lettura una fonte inesauribile di conoscenza, un piacere alla portata di tutti.

Andrea Musacci

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