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Aldrovandi. Intervista a Patrizia Moretti: "Perdonarli? Prima mi dicano la verità"

Aldrovandi. Intervista a Patrizia Moretti: "Perdonarli? Prima mi dicano la verità"

La madre di Federico racconta il suo viaggio romano. "Ferraresi stanchi di questa storia? E' questione di giustizia"

30 aprile 2014
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di STEFANO SCANSANI

Lo Stato è schierato dalla parte di Federico Aldrovandi, della sua famiglia, della sua causa. In ventiquattro ore la madre Patrizia ha ricevuto a Roma la solidarietà di Napolitano, Renzi, Alfano, Grasso, Boldrini e del capo della polizia Pansa. Regole oltre la condanna.

La madre di Federico Aldrovandi ci ha rilasciato questa intervista al suo rientro a Ferrara, dopo gli incontri romani.


Signora Moretti, dopo le ultime vicende aggiungerebbe un capitolo al suo libro recentissimo "Un sola stella nel firmamento"?
«Sì, un capitolo decisamente lo aggiungerei. Penso che anche l’episodio di martedì a Rimini al congresso del Sap e soprattutto la reazione che c’è stata, immediata e larga, sarebbero importantissimi nel mio libro. Gli ultimi fatti confermano le tesi che ho descritto: tutto in fondo si svolge attraverso due punti di vista. Quello delle istituzioni con la loro reazione per la prima volta così corale e ai massimi livelli. L’altro punto di vista è quello di quei poliziotti che applaudendo è come se si fossero nuovamente sporcati le mani di sangue. Quell’applauso ha confermato la logica che ha portato alla morte di Federico».
 

Sta dicendo che l’applauso al congresso del Sap avrebbe riscoperto, indicato, rivelato un certo tipo di reattività?
«La dinamica è precisa. E identiche sono state le reazioni immediatamente successive. In molti a Roma, l’altro giorno hanno rappresentato l’episodio con una definizione scientifica: spirito del branco. Che porta persone che non hanno nulla a che fare con l’evento originario a fare quadrato, a identificarsi in maniera terrificante con i responsabili. La cosa è ancor più terrificante perché queste persone indossano una divisa».
 

Con quale spirito è tornata a Ferrara dalla sua intensa giornata romana?
«Con la consapevolezza che lo Stato si è reso finalmente conto di quale è il problema che ha ucciso Federico. Tutti i miei interlocutori mi hanno promesso il massimo impegno per trovare una soluzione, anche se non nell’immediato. Continuo a ribadirlo: se avessero espulso quei quattro agenti dalla polizia non ci sarebbero stati fatti successivi. A Roma ho colto l’impegno a cambiare una cultura, di intervenire sulle norme e sulle sanzioni da applicare contro i responsabili. Il capo della polizia Pansa mi ha detto che non hanno potuto espellere i responsabili in quanto il reato è stato identificato come colposo. La mia frustrazione è proprio questa: è colposo».
 

Quando e dove ha ricevuto la nota del presidente Napolitano?
«La lettera del presidente della Repubblica mi è arrivata in treno, durante il viaggio di ritorno da Roma. Mio figlio Stefano mi aveva avvertito che la questura o la prefettura di Ferrara gli avevano richiesto il mio indirizzo personale di posta elettronica. È dunque stata una sorpresa. Ho risposto immediatamente. Proprio dopo quell’applauso al congresso del Sap avevo immaginato di rivolgermi al presidente, direttamente. Ricevuta la mia risposta, gli uffici del Quirinale mi hanno chiesto l’autorizzazione a renderla pubblica».
 

L’incontro con la presidente della Camera Laura Boldrini è stato particolare.
«È stata l’ultima persona che ho incontrato a Roma e mi è stata decisamente vicina. Il suo approccio è stato molto empatico. Parlare con lei mi ha rincuorato anche da un punto di vista umano. Mi ha chiesto ripetutamente che cosa lei e il suo staff avrebbero potuto fare».

A Palazzo Madama ha incontrato il presidente Grasso.
«Lo avevo già conosciuto il 25 aprile dell’anno scorso a Monte Sole di Marzabotto. Mi ha espresso la sua grandissima indignazione. Le sue parole sono state simili a quelle pronunciate dal ministro degli Interni Alfano il giorno precedente. Indignazione per un insulto grandissimo, rivolto anche a tutti quei poliziotti che lavorano ogni giorno come si deve. Il presidente del Senato Grasso ha convenuto che anche loro hanno sentito sulla loro pelle lo sfregio di quell’applauso».
 

Solidarietà ribadita anche dal capo della polizia Alessandro Pansa.
«C’eravamo sentiti la sera prima. Queste erano state le sue parole, al telefono: “Signora, lei lo sa, ma io le telefono per dirle che noi non siamo così”. E ci siamo visti il giorno dopo a Roma. Mi ha spiegato che tecnicamente un provvedimento disciplinare agli agenti non si può comminare perché la condanna è già stata eseguita».
 

Lei a Roma ha invocato più provvedimenti che solidarietà. Ha fiducia?
«Sì, vedo prossimo il riconoscimento del reato di tortura. È in calendario per martedì alla Camera, ed è già passato al Senato. Il testo è sicuramente migliorabile, ma intanto c’è. È l’unico provvedimento che è già in iter».
 

Don Domenico Bedin in un post it inviato alla Nuova Ferrara aveva invocato la pacificazione. È possibile?
«Don Bedin sa benissimo che io quei quattro non li perdonerò mai. Non può esserci perdono senza pentimento. Gli eventi recenti vanno nella direzione opposta. Con quell’applauso sono stati elevati a simboli, a modelli. Questo allontana moltissimo qualsiasi possibilità. L’unico modo per me per passare oltre è che raccontino tutta la verità, ogni dettaglio, ogni minuto. È l'unico modo di chiudere l’argomento. E poi dico a tutti quei ferraresi che sono stufi di sentire parlare del caso Aldrovandi o che vorrebbero vederlo sparire dalle cronache: la vera giustizia nasce e cresce nella coscienza delle persone prima che nei provvedimenti. Mi creda, io vorrei essere la prima a voler sparire, ma non posso. Fin quando appunto non ci sarà giustizia per Federico».