I “Racconti d’amore” dedicati al Po
Domani sera all’Apollo viene presentato il film di Elisabetta Sgarbi: «È il mio sguardo su Ferrara»
Domani sera (con l’incontro con il pubblico prima del lungometraggio previsto alle 20.30) arriva anche all’Apollo di Ferrara il film “Racconti d'amore” di Elisabetta Sgarbi. A presentarlo, accanto a lei, Eugenio Lio, aiuto regista, Tony Laudadio, attore ed autore, Elena Radonicich, volto romantico del nuovo cinema italiano, già moglie di Adriano Olivetti/Luca Zingaretti nell’omonima fiction di Rai Uno, oltre che agli altri interpreti Ivana Pantaleo, Anna Oliviero e Maurizio Giberti.
Scritto e girato a settant’anni dalla strage del Castello di Ferrara raccontata da Giorgio Bassani e da Florestano Vancini nel film “La lunga notte del ’43”, l''argomento del film è la memoria, la Resistenza, la Seconda Guerra Mondiale ma declinata a storia che racconta un luogo d’affezione per eccellenza della regista: il Po, il Basso Ferrarese e il Polesine.
In “Racconti d’amore”, le nebbie, i canali e gli spazi d’acqua, Ferrara, la pianura ed il fiume diventano sacche di tempo incontaminato, teatro di fantasmi amorosi e di desideri sospesi tra la vita e la morte. A poche ore dall’anteprima ferrarese del film distribuito dall'Istituto Luce, abbiamo ricontattato la regista per una chiacchierata sulla Memoria rivolta al futuro.
Nella nostra precedente intervista disse che «Gli amori raccontati da Sergio Claudio Perroni, Fausta Garavini, Tony Laudadio - e che ho messo in scena - sono storie che vengono dal futuro», ci può spiegare il perché?
«Sostenevo e sostengo - risponde - che la memoria non corrisponde al tasto rewind di un lettore dvd, accanto al tasto play o forward. La memoria è qualcosa che ci appartiene essenzialmente, la memoria siamo noi, anche quando sogniamo orizzonti utopici o desideriamo o progettiamo un futuro. E quindi le quattro storie che racconto, anche se legate ad un contesto storico, non sono solo del passato, ma ci dicono, credo, qualcosa di come siamo e di quello che desideriamo. Micol non è solo un personaggio storico del passato, amata da Giorgio Bassani, ma è una figura che accompagna gli amanti, ogni amante, ogni perdita e ogni speranza. Ci sta davanti, Micol, come oggetto di seduzione e, naturalmente, riguardo il suo destino, come ammonimento. Questa è la forza dell’arte, in questo caso di Giorgio Bassani».
Siamo a settant’anni dalla Seconda Guerra Mondiale e a cento dalla Prima. Sembra passata un’eternità eppure il tempo trascorso non è poi così tanto. Perché secondo lei è importante tenere viva la memoria di quegli avvenimenti?
«Per il motivo che dicevo prima, ma anche per un dovere che abbiamo, che è quello di non semplificare. Non temo il ritorno dei regimi totalitari - aggiunge -, bensì temo il virus della semplificazione, dello schematismo astratto, buoni contro cattivi. L’arte, i romanzi, l’arte figurativa e anche l’approfondimento storico sono un argine alla semplificazione, il quale è il germe di ogni totatalitarismo. E lo sono perché si occupano dei particolari, delle storie delle persone, della vita dei singoli. Irripetibili e complessi».
Quando ha cominciato a fare cinema si immaginava che un giorno avrebbe realizzato un film sulla Resistenza, e che lo avrebbe girato proprio nella sua terra?
«No, almeno credo. Però credo che la passione che nutro per il cinema sia in qualche modo legata alle immagini del fiume che ho negli occhi sin da bambina. Non avrei pensato, tuttavia, di poter lavorare su Micol, che avrei potuto, un giorno, darle un volto ed un corpo, quello di Elena Radonicich. E, in qualche modo, di farla tornare a vivere. È stata una esperienza, per me, molto intima e bella».
La proiezione di “Quando i tedeschi non sapevano nuotare” alla Sala Boldini ha riscosso un notevole successo. Ora che la voce è girata anche in città, si aspetta un’affluenza ancora maggiore?
«Vivo il cinema in modo più libero di come vivo l’editoria, la mia professione. Da editore, oltre che alla passione, sono legata alla quantità di lettori che i libri che pubblico riescono a raggiungere, che non è sempre inversalmente proporzionale alla qualità degli stessi libri, anzi. Però è un imperativo dell’editore diffondere i libri in cui crede e che pubblica. Certo, mi spiacerebbe che Ferrara non si riconoscesse nel mio sguardo su di lei».
Ha già dei progetti futuri ai quali si dedicherà o a cui si sta già dedicando?
«Ancora il fiume, ancora il Po - conclude la Sgarbi -; ma è presto, ancora».
Samuele Govoni
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