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LA MOSTRA

di MICAELA TORBOLI
LA MOSTRA

MICAELA TORBOLI. Chi di voi è uscito con la testa piena di ragionamenti elevati e di sensazioni mistiche dalla mostra che ha preceduto quella attualmente in corso a Palazzo dei Diamanti, e dedicata a...

27 maggio 2014
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MICAELA TORBOLI. Chi di voi è uscito con la testa piena di ragionamenti elevati e di sensazioni mistiche dalla mostra che ha preceduto quella attualmente in corso a Palazzo dei Diamanti, e dedicata a Zurbarán, non tema: dalla visione delle opere di Henri Matisse che formano nella stessa sede la carrellata Matisse La Figura. La forza della linea, l'emozione del colore non subirà alcuna conseguenza del genere, lasciando le sale allegro come un fringuello e senza un pensiero in testa. Perché Matisse è leggero, scanzonato, quasi senza peso. Tentò sempre di sfuggire ai tentacoli delle ideologie e all'odiata Storia, quella che aveva fatto scoppiare una guerra proprio quando lui era in fasce (nacque nel 1869, il conflitto franco-prussiano è 1870-1), poi giunsero i due conflitti mondiali e in ogni caso Matisse se la cavò: o era troppo piccolo per partecipare, o riuscì a farsi riformare come in occasione della Prima Guerra Mondiale anche perché non più giovane, ed infine era sul serio eccessivamente vecchio e malato per combattere nella Seconda Guerra, cosa che non gli impedì di esporre sue opere mentre altra arte veniva considerata "degenerata", di vivere tranquillo nella Francia amministrata dal governo collaborazionista del maresciallo Pétain e di parlare a Radio Vichy, l'emittente di stato francese al tempo dell'occupazione nazista, mentre sua moglie e sua figlia venivano arrestate dalla Gestapo per attività ostili al regime, rischiando il campo di concentramento. Secondo Frederic Spotts (The Shameful Peace how French Artists and Intellectuals Survived the Nazi Occupation, New Haven-London, Yale University Press, 2010), «nel suo rifugio di Vence Matisse non avvertì nemmeno il problema morale della Resistenza». Non che parteggiasse per qualcuno dei contendenti, fondamentalmente se ne infischiava di tutti: se si vuole uscire dall'immagine-santino che regna ancora riguardo la vita di Matisse, si leggano senza pregiudizi gli scritti di Michèle C. Cone sul tema. Henri dipingeva allora nella luce della Costa Azzurra, in pieno declino fisico e con la tendenza, già tipicamente sua, ad esprimere momenti di depressione alleviati grazie al sostegno della giovane e bellissima ragazza russa che aveva soppiantato la consorte di lui dopo 31 anni di matrimonio. Del resto, l'ideale di vita per Matisse fu sempre ispirato da un passaggio di Les Fleurs du Mal di Baudelaire, che invita a trovarsi dove non ci sono mai cose tristi, «Là, tout n'est qu'ordre et beauté/ Luxe, calme et volupté» (Là, tutto non è altro che ordine e bellezza/Lusso, calma e voluttà). Un dipinto del 1904 (Paris, Musée d'Orsay), quando ancora adottava una tecnica "puntilista" che formava cose e figure tramite piccoli punti di colore, porta appunto un simile titolo programmatico. Mica male vivere così, mentre intorno il mondo si scanna. Anche gli americani, che di volta in volta combattevano per liberare l'Europa, ed erano pure i migliori clienti di Matisse, non gli andavano a genio e in una intervista del 1941 concessa allo svizzero Pierre Courthion li descrisse come bambini sciocchi e privi di gusto: poi si pentì e non diede il permesso di pubblicazione, tanto che il dialogo è stato edito solo di recente a cura del Getty Research Institute. Le uniche lotte che Henri ingaggiò furono con critici e pubblico che non apprezzavano lui ed i compagni fauves, i feroci, selvaggi spargitori di colori dalla forza primitiva che sfondavano le tele con i loro lavori inusuali, anche se per la nostra sensibilità questi pittori appaiono assai meno rivoluzionari che ai loro contemporanei. Ormai li abbiamo metabolizzati. Matisse seduce ma non emoziona. Il colore in Matisse è privo di qualsiasi risvolto simbolico, «per Matisse era semplicemente la sostanza con cui si compongono i quadri» (P.Ball, Colore, Milano, BUR, 2004), e in questo modo solo in apparenza si avvicina ai colori espressi negli àmbiti etnici o folklorici da cui pescava a piene mani, spesso in modo filtrato ed evidente solo agli addetti ai lavori, per sviluppare mescolanze squillanti che colpissero l'occhio. I ricami delle camicette rumene, le stoffe messicane o i costumi delle Ande, i tessuti e le fantasie arabi, le matrioske russe, i carretti siciliani, le case dipinte dalle donne del Burkina Faso, ai cui ritmi cromatici archetipici strettamente s'imparentano le tavolozze di Matisse, hanno invece profonde radici nelle tradizioni e nei linguaggi dei popoli che li producono e non sono mai privi di messaggi. Forse i più esigenti apprezzeranno maggiormente, in controtendenza, tutto quanto in Matisse si basa con eleganza sul rapporto bianco/nero, dalle litografie ai carboncini, dai disegni a matita a quelli ad inchiostro. Nella mostra di Ferrara abbiamo molti esempi di tali tecniche. Ma non sono certo queste le opere per le quali Matisse attira le masse, che si trovano aiutate nell'apprezzamento del suo mondo grazie alla pressoché totale assenza in esse di contenuti e significati nascosti o da interpretare, così che la lettura dei quadri non richiede quasi alcun tipo di preparazione culturale, e si affida principalmente all'attrattiva primigenia dei colori, che costringe a fissare la tela così come un bambino tende naturalmente la mano per afferrare l'oggetto più variopinto e vivace. La popolarità di Matisse dipende proprio da una sensazione di appagamento data dalle sue tipiche gamme di tinte (presenti sia nelle rappresentazioni della figura umana che nei paesaggi) che colpiscono con astuzia le aree percettive cerebrali. Gli studi psicologici del Novecento si sono spesso occupati di fenomeni analoghi. Così il suo nome è noto a livello planetario e i suoi quadri spuntano cifre astronomiche; così nel 1970 per il pubblico italiano la Disney ha battezzato Matisse il simpatico micetto pittore de Gli Aristogatti che nella versione in lingua originale si chiama invece Toulouse in onore di Henri de Toulouse-Lautrec, evidentemente ritenendo che da noi Matisse fosse ormai più famoso del collega; così si intitolano a lui pizzerie e locali di ristoro, dove magari si può sorseggiare il cocktail Matisse, fatto con vodka, succo d'arancia e liquore Chambord, un costoso nettare purpureo a base di frutti di bosco, amato dal Re Sole. Luxe, calme et volupté...tchin-tchin et mes félicitations, monsieur Matisse!