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La vita è un viaggio, Rondoni la racconta in versi

La vita è un viaggio, Rondoni la racconta in versi

Casa Ariosto ha ospitato il poeta con la sua ultima raccolta “Si tira avanti solo con lo schianto”

27 maggio 2014
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Ci sono poeti che scelgono di viaggiare soltanto tramite la mente, in una piazza silenziosa come quella di Ferrara, la pagina bianca dove tutto trova riposo e secoli orsono qualcuno fuggiva dalla realtà di corte, cantando “le donne, i cavalier, l’arme, gli amori”. Ebbene, domenica Casa Ariosto ha ospitato Davide Rondoni con la sua ultima raccolta, “Si tira avanti solo con lo schianto” (WhiteFly Press, 2013), lo scalo emotivo di un poeta per cui, invece, “un libro è un taccuino di viaggio”, anche a detta di Isabella Leardini che l’ha presentato. La scrittrice riminese ha sostenuto che «il paradosso della poesia contemporanea è avere paura di mescolarsi a dettati diversi, a ritmiche musicali. Ben diversa, però, è quella in questione, quasi fosse un blues personale, volutamente non-classico nel suo andamento e fluviale, che ti trasporta». «D’altronde - ha specificato - la voce affabulatoria di Dante ha conquistato chiunque ami profondamente la poesia, levatasi talmente da spalancare il verso in tutto il suo valore. Perciò Davide concepisce e diffonde una letteratura che vuole essere sacra infangandosi di profano». Il tono del volume ricorda la pop Back to Black, benché intonata da un vagabondo, un cantante di strada noncurante che la propria voce gratti a causa delle avversità e dei conseguenti deboli rimedi: “come uno che fuma tanto e sa / che l'allegria è / uno schianto”.

E si schiantano pure i “durissimi tramonti” della nostra piana calpestata, tra campi e viadotti abbracciati da un canto che mescola il bar isolato di Hopper, al “grido delle stelle” mai spente di Van Gogh, alla valanga del Movimento Operaio “pagherete caro pagherete tutto”. In questo ritorno al Nero, o meglio, ritorno al Vero, l’autore se la prende con i mezzi toni, i grigi omertosi consueti di un certo “fare” sociale, così sulla statua di un Garibaldi impotente: “gli dicevano sei il nostro dio / e lui pensava: ma come, io?”. Impertinente l’orecchio incalza e ogni lirica porta una destinazione sia nei primi sia negli ultimi versi, come fosse un tragitto suo e comune al contempo, un segmento di esistenza condiviso.

Il fine “prima dell'out”, tuttavia, resta sempre la luna, cioè una passione tenera e sincera con nome di donna, “mentre lei mi bacia o / supplica o sfascia”.

Matteo Bianchi