Carife, caduta di un mito la ferraresità non è un tabù
Niente barricate dalla politica per l’eventuale arrivo della Popolare di Vicenza Bratti: basta campanilismi. Malaguti: superare le connivenze. Toscano tranchant
Ma è ancora possibile issare sul balcone della sede Carife di corso Giovecca la ‘mitologica’ bandiera della ferraresità dopo anni di scandali, bilanci in rosso e commissariamenti mescolati all’angoscia della perdita dei posti di lavoro? Il vento sta spingendo la Cassa verso le braccia della Popolare di Vicenza, la stessa banca che in questi giorni attende il pronunciamento del consiglio di amministrazione di Banca Etruria per l’Opa lanciata lo scorso maggio sull’istituto aretino. Per difendere l’autonomia dell’azienda di credito toscana, però, sono scesi in campo i vertici dell’economia e della politica locale. Un modello “difensivo” che non trova grossi sponsor in terra estense, dove il tema del salvataggio Carife è rimasto confinato oltre i margini della campagna elettorale. Il primo no arriva dal deputato Alessandro Bratti. «Sarebbe una posizione un po’ fuori dalla storia - commenta il parlamentare Pd - Non vedo proprio perchè chi è nato o risiede a Ferrara debba essere più bravo a gestire una banca di chi già lo fa in altre zone d’Italia. L’obiettivo vero è ricreare le condizioni per avere in provincia una banca sana e attiva. Devono essere i ‘privati’ a trovare una risposta valida ed efficace. E poi bisogna essere chiari: ai politici oggi si chiede di restare fuori dall’economia, eppure c’è sempre qualcuno che cerca di tirarli per la giacchetta. Allora dico questo: penso che il sindaco dovrà capire se le soluzioni che saranno proposte a questa crisi potranno garantire realmente un rilancio della banca, dell’occupazione e del territorio piuttosto che cercare di posare un semplice e inutile puntello all’ombra del campanilismo».
Ed è una posizione che, se qualche anno fa avrebbe potuto collocarsi fuori dal coro, oggi appare tutt’altro che isolata. Gli fa eco, da Bologna, il consigliere regionale Mauro Malaguti (Fdi) che va dritto al punto: «Vicenza o un altro istituto con le dovute credenziali vanno tutti bene. Anzi, diciamola tutta: se la guida della banca fosse esterna questo migliorerebbe le opportunità per il territorio sbaragliando l’intreccio di connivenze e alleanze che ha fatto piombare la Cassa e l’economia locale in un baratro senza fondo». Giuseppe Toscano, ex democristiano oggi dentro il centrodestra, è tranchant: «Ai tempi di Cristofori (ex ministro del Lavoro, ndr) nessuno avrebbe osato commissariare l’istituto». Maneggia la falce, Toscano, e forse fischiano le orecchie al ministro ferrarese (ai tempi del commissariamento sottosegretario) Dario Franceschini, anche lui ex Dc, come Toscano e Cristofori. «Comunque penso che dietro Vicenza - conclude Toscano - ci sia un pesce ancora più grosso. Carife è morta e si può solo sperare che possa mantenere un legame col territorio che la distingua rispetto alle altre banche». Giuseppe Vancini, il segretario di Confartigianato, resta convinto «che il commissariamento si sarebbe potuto evitare» ma sul futuro non alza il tiro: «Ottenere una quota di autonomia nell’ambito di un gruppo bancario sarebbe già un buon risultato (un esempio è il rapporto Carisbo-Banca Intesa). Forse una mobilitazione locale sarebbe utile, ma qui siamo a Ferrara e c’è qualcuno che per il commissariamento, forse, ha addirittura brindato».
Per Giuseppe Fornaro, ex candidato dalle amministrative della lista ‘Valori di Sinistra’, è convinto che la crisi dei piccoli istituti rientri in un quadro «più ampio di internazionalizzazione e globalizzazione dell’economia. A Ferrara, poi, si aggiunge il problema dell’imprenditoria locale, più orientata verso la speculazione finanziaria che verso l’investimento nell’economia reale. Comunque, la vera priorità di Carife oggi è salvare l’occupazione». E sono le stesse corde che suona Matteo Fornasini, consigliere comunale di Forza Italia, quando dice che «il futuro di Carife è tutelare l’occupazione e rilanciare l’azienda. Puntare ad una quota di autonomia non è un’utopia, ma bisogna anche adeguarsi ai tempi e se la Cassa di Ferrara oggi non ha le energie per rialzarsi da sola...». (gi.ca.)