La Nuova Ferrara

Ferrara

Antonio Tassinari e l’utopia realizzata

di Marcello Pradarelli
Antonio Tassinari e l’utopia realizzata

È morto a 54 anni il regista e attore del Teatro Nucleo, fondatore del Teatro Comunitario di Ponte

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In questi giorni è uscito un libro che s’intitola «Un’avventura utopica» e racconta cosa ha combinato di straordinario Antonio Tassinari a Pontelagoscuro, dove nel 2006 è nato il Teatro Comunitario, che era la sua utopia realizzata, il sogno di una cosa che si avvera. Tassinari è morto ieri a mezzogiorno alla Quisisana; l’inesorabile malattia che gli era stata diagnosticata pochi mesi fa non gli ha lasciato nemmeno il tempo di godersi la presentazione di questo libro edito da Titivillus (un editore di teatro) e curato da Greta Marzano e Erica Guzzo.

Ieri sera il gruppo del Teatro Comunitario doveva trovarsi al “Cortazar” di Pontelagoscuro, l’ex Cinepo, per le prove settimanali del martedì: si sono ritrovati lo stesso per piangere un po’, un po’ tanto, e per decidere come salutarlo.

L’incontro tra Antonio e la comunità di Ponte era stato apparentemente accidentale. Apparentemente in quanto al caso Antonio non credeva: «Non credo nel caso, una persona ha delle energie, delle urgenze e delle necessità e seguendole e rispettandole incontra ciò che sta cercando». Lui per tutta la vita ha cercato con coerenza e ostinazione il teatro che cambia la vita delle persone. «Che me ne faccio di uno spettacolo perfetto se non trasforma, se non è portatore di un tangibile cambiamento nelle relazioni personali e sociali». Se il teatro non fa questo « rimane organico a un sistema che è lo stesso che fa le guerre, quello stesso sistema che diciamo di voler cambiare».

Aveva 54 anni Antonio Tassinari. Era nato a Firenze e fin da ragazzo il teatro, quel teatro lì, era stato la sua dimensione: nel 1975 entra nel collettivo CavalloPazzo, gruppo di base fiorentino, due anni dopo con altri giovanissimi fonda il Teatro Garobombo, una comune teatrale che a casa tra le campagne del Chianti. Quel che andava cercando, tra una sperimentazione e l’altra, Antonio lo trovò a Ferrara nel 1981, dove venne per seguire un seminario diretto da Cora Herrendorf e Horacio Czertok, i fondatori del Teatro Nucleo, due argentini che hanno eletto Ferrara loro casa e l’Italia loro seconda patria: erano qui nel 1976 quando in Argentina ci fu il golpe militare di Videla e vi rimasero. Tassinari venne catturato dal Teatro Nucleo e poi anche da Cora, che è diventata la sua compagna e gli è stata vicina vicina fino all’ultimo minuto.

Con il Teatro Nucleo affina la sue qualità di attore e di uomo di teatro, s’impossessa delle tecniche per il teatro all’aperto, svolge attività nelle comunità per tossicodipendenti, più avanti - tra il 1998 e l 2004 - insegna al Centro Teatro Universitario di Ferrara e fa attività pedagogica per i nuovi attori del Teatro Nucleo, che ha trovato casa a Ferrara nell’ex ospedale psichiatrico, ma gira l’Europa con i suoi spettacoli di piazza. Si cimenta con la regia: l’esordio è nel 2003 con “Polemos-Guerre di noi”, seguono “Giulietta e Romeo” e “Il pagliaccio degli schiaffi”.

Poi capita che l’ex ospedale psichiatrico viene ristrutturato per fare posto alla Facoltà di Architettura (1999) e il Teatro Nucleo deve sloggiare: a Ponte c’è una struttura grande e abbandonata, l’ex Cinepo, non è il massimo, ma di meglio il Comune non ha. E qui succede qualcosa. Succede che Cora e Antonio decidono di chiamare Teatro Julio Cortazar l’ex Cinepo per onorare la memoria del poeta e drammaturgo argentino. E succede che nel 2005 ci sono anche quattro soldi per dipingere le due desolate pareti esterne del Cortazar. Dall’America Latina arrivano due aritisti, il muralista argentino Omar Gasparini e la scenografa urguayana Ana Seralta.

Su una facciata verrà dipinta la storia del Teatro Nucleo, sull’altra la storia di Ponte. Ma non la storia scritta sui libri, quella raccontata dalla gente di Ponte, che viene chiamata a partecipare. Si scava nella memoria, si intrecciano le storie delle persone, si scava nelle origini, si parla, ci si conosce e Antonio capisce quel teatro dell’utopia che andava cercando è lì a portata di mano. Gli dicono che per fare un Teatro Comunitario come si deve servono almeno trenta persone di tutte le età e le condizioni sociali. Ne arrivano di più: giovani, vecchi e bambini, ferraresi doc e marchigiani trapiantati.

È un contagio: arriva gente da Ferrara, dal vicino Veneto. Antonio, scrive “Il Paese che non c’è”, un testo che prende al cuore Pontelagoscuro e non solo. Poi arrivano Gran Cinema Astra, La Patria Nuova che avrà tra gli spettatori il ministro Cecile Kyenge. Cora Herrendorf insieme alla donne del Gruppo porta in scena “Signora Memoria”. Il 25 aprile Antonio ha seguito da regista Liber/Azione, lo spettacolo itinerante ideato insieme all’Anpi per festeggiare il 25 Aprile. Ci sono foto bellissime di quel giorno: tutti quelli del Teatro Comunitario già sapevano della sua malattia e alla fine dello spettacolo lo hanno circondato. Qualche giorno fa ha detto rivolgendosi ai suoi attori-amici: «Non vi libererete tanto facilmente di me». Il legame è forte, sarà davvero dura reciderlo.