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Sospeso a divinis il prete condannato

Sospeso a divinis il prete condannato

Il provvedimento preso dal vescovo Negri "con tanto sacrificio e tando dolore per tutto il tempo che sarà necessario"

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Carissimi sacerdoti e religiosi,
come avrete già saputo dalle notizie apparse sugli organi di informazione, un nostro sacerdote è stato condannato, con sentenza di primo grado, in un processo relativo a episodi gravi su un minore. È inutile che vi dica la profonda amarezza che provo, come ho già provato ai tempi della vicenda di don Tosi, e che si rinnova in me ogni volta che si profilano situazioni scorrette dal punto di vista morale nell’ambito delle nostre istituzioni.
Una prova come questa è un’ulteriore sfida che la Provvidenza ci pone di fronte.
Fratelli miei, più che analizzare l’accaduto voglio ricordarvi che noi dobbiamo renderci conto della grandezza della nostra vocazione e della responsabilità che da essa consegue, o meglio della responsabilità nella quale questa vocazione deve quotidianamente esprimersi.
È necessario, come vi ho detto nei vari incontri di quest’anno, approfondire e rinnovare, in maniera adeguata e personale, il rapporto di fede con il Signore Gesù Cristo, anzi direi di più, il rapporto di “consegna”: perché la fede in Cristo è la consegna della nostra vita a Lui.
Consegna significativamente espressa da quella intensa vita di preghiera che, mentre rinnova ogni giorno la nostra appartenenza a Lui, rigenera la nostra vita, la nostra intelligenza, il nostro cuore. Mai come in questi momenti si deve capire che non si può procedere nella vita se non per quel movimento che, nascendo dalla fede, investe la nostra esistenza quotidiana, plasma la nostra personalità e la rende utile alla vita della chiesa.
Consegnare la vita a Cristo e vivere intensamente il servizio alla Santa Chiesa, perché in essa si rinnovi continuamente l’esperienza del popolo cristiano attraverso la nostra azione educativa, è la prima cosa che una sfida come questa ci chiede e, vorrei dire, ci impone.
Queste cose accadono anche perché non si è stati o non si è sufficientemente vigilanti sulla propria vita personale, nei confronti dei limiti che noi condividiamo con gli uomini di questo mondo. Non possiamo negare che l’immoralismo che pervade la nostra società condizioni qualche volta anche il nostro stesso modo di sentirci o di essere.
È necessaria una vigilanza piena di affezione reciproca sulla nostra vita di presbiteri, appartenenti all’unico presbiterio e quindi capace di sostenersi, di edificarsi, di correggersi, di godere del bene che il Signore concede a molti fra noi e di portare con dolore il limite che vediamo nella vita degli altri. Non a caso negli ultimi mesi ho insistito molto sul fatto che nel clero debbono cessare, o quantomeno ridursi, quelle gelosie e opposizioni che rendono così debole la nostra realtà comunionale. Se Dio permette vicende come quelle che squassano la nostra vita diocesana, le permette, certamente e innanzitutto, perché il clero riprenda, secondo la grande tradizione di questa Chiesa, a camminare con forza dietro il Signore e al servizio dei nostri fratelli. Un servizio che, come ho chiarito tante volte ormai, deve essere il sostegno della loro intelligenza, la maturazione del loro cuore, l’aiuto a che vivano la loro vita quotidiana come partecipazione alla grande missione di Cristo e della Chiesa.
Vi scongiuro di non sentire queste parole come dette per caso o per modo di dire.
Queste sono parole che, mentre le pronuncio per voi, bruciano la mia vita e quindi desidero che brucino anche la vostra vita e la rinnovino come rinnovano la mia.
Si impongono, a me pastore di questa chiesa, delle scelte su questa vicenda che sono precisamente indicate dalle direttive della Santa Sede e dalla Conferenza Episcopale Italiana. Ho informato puntualmente, fin dall’inizio del processo, la Congregazione per la Dottrina della Fede di tutti i passi che si svolgevano, e ho comunicato subito la chiusura del procedimento di primo grado e la condanna. È per questo che, con tanto sacrificio e tanto dolore, devo sospendere a divinis per tutto il tempo che sarà necessario questo nostro confratello.
Vi chiedo di pregare molto per lui perché questa prova terribile, che segna la sua vita, diventi un’occasione per il rinnovarsi della sua fede e della sua appartenenza alla Chiesa; un’appartenenza che comincia, come per ogni presbitero, dal rinnovarsi di una comunione piena di dipendenza e di obbedienza nei confronti del Vescovo.
Pregate molto anche per me, e non fate di questo mio messaggio spunto per indebiti giri di voci. Rendetelo piuttosto spunto di riflessione e di meditazione per voi; e nei modi e nei tempi che riterrete utili, nella vostra responsabilità di pastori, sappiate comunicarlo anche alle vostre comunità come occasione di crescita della fede, della speranza e della carità.
Mi piacerebbe al più presto convocarvi per un’ampia assemblea sulla situazione della nostra amata Arcidiocesi dopo un primo anno così intenso, così pieno di possibilità positive, che sono andate al di là delle nostre stesse capacità, segnato però anche da tante difficoltà. In ogni caso auspico che la giornata sacerdotale - che si terrà alla Mendola il 3 luglio p.v. - si svolga in una cornice di generosa e disponibile partecipazione perché potrebbe essere il primo momento di un profondo confronto sulle linee della nostra spiritualità, che ho indicato coerentemente in tutti gli incontri del clero di quest’anno.
Consegniamo la nostra fatica alla Madonna delle Grazie perché l’esperienza di stare anche noi ritti sotto la croce di nostro Signore diventi, come è stato per lei, un punto fondamentale nell’incremento della nostra vita di cristiani cioè di uomini redenti dal mistero della presenza di Cristo.
Vi benedico tutti di cuore.

Monsignor Luigi Negri

Arcivescovo della diocesi
di Ferrara-Comacchio