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Carife, matrimoni e politica Via il coperchio dalla Cassa

Carife, matrimoni e politica Via il coperchio dalla Cassa

L’editoriale del direttore Stefano Scansani

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Soverchio nell'antico italiano voleva dire coperchio. Michelangelo, che di grandi masse marmoree se ne intendeva, era convinto che all'intelletto bastasse levare il coperchio di pietra per scovarvi sotto una storia. Il paragone calza a pennello (e scalpello) con la vicenda della Carife. Che, di fatto, se n'è stata frigida frigida sotto coperchio per un anno, fino a domenica scorsa. Non immaginavo che lo scoperchiamento della questione, riguardante i ferraresi di tutte le tasche, ammorbidisse il marmo dello "zitti e fermi" imposto dal timor panico per la commissariante Banca d'Italia e dal silenziatore che piace a tanti soggetti indigeni. La precisa e decisa volontà della Nuova Ferrara di parlare del letargo indotto di Carife e di tutte le manovre sotterranee riferite alla malconcia cassaforte di corso della Giovecca, ha scatenato un benedetto impulso a parlarne. Una repressa voglia di discutere, e di salvare la banca.

Molti gli interventi, parecchie le lettere, perché la sorte di Carife riguarda 28mila correntisti, quasi mille dipendenti, circa cento sportelli, 8 milioni di euro una volta elargiti per sociale, cultura, sport del territorio, un servizio di raccolta e investimento a misura di provincia. La ferraresità (è un aspetto sentimentale) non c'entra.

Vi racconto come è andata: siccome temevo fossero finiti nel dimenticatoio il commissariamento della banca, le ancora non motivate cause che l'hanno indotto, la marmorizzazione della vicenda, le lusinghe di altri istituti interessati alla piazza, domenica scorsa ho deciso di rompere gli indugi e dare un corpo a quello che la gente del credito chiama sentiment.

MATRIMONIO POLIGAMICO

E ancora rompo la taciturnità per immaginare le reazioni alle battute colte al volo in questi giorni:

"Di Carife si farà uno spezzatino".

"Chi ora entra a Ferrara fa un grosso affare".

"Si sta preparando un matrimonio combinato".

Poligamico. Cioè:

"Carife, Popolare dell'Etruria, Veneto Banca, Popolare di Marostica in spose alla Popolare di Vicenza".

Evviva l'omogeneità geografica, il senso e la funzione della statura piccola e media bancaria in un'Italia corrispondente: fatta di aree e propensioni eterogene. Sono semplici boatos? Quanto quello di una ipotesi di connessione fra Carife e la Cassa di Risparmio di Cento, presieduta da Carlo Alberto Roncarati, coincidenti per struttura e natura, con azionisti stereofonici (che stanno di qua e di là), attività sul territorio.

Dalla improvvisa loquacità scatenata dalla Nuova è trapelato che l'immaginifica fusione-aggregazione fra Ferrara e Cento è datata e che in fondo in fondo non dispiace (in ferrarese si traduce in "sì, lo voglio"). Ma mancherebbero 200 milioni per realizzarla, e naturalmente il via libera della Banca d'Italia.

QUEL TONO INUSITATO

Anche la Fondazione Carife, dopo un anno di consegna del silenzio, ha deciso di passare all'azione, assumendo un tono inusitato. Il suo presidente Riccardo Maiarelli: "Saremo coraggiosi. Chi vuole Carife deve trattare con noi. Faremo di tutto, anche attraverso percorsi che possono apparire singolari".

In questo quadro è assente la politica, in via apparente. Non quella che condiziona o addirittura s'intrufola con i conseguenti disastri e le ustioni che andiamo leggendo nelle cronache della mirabolante vita del Paese. Quella ferrarese è un'assenza che Edoardo Nannetti di Gentedisinistra ha definito "pilatesca". Io, invece, chiamo "dissociata".

Lunedì scorso il deputato Pd Alessandro Bratti e il consigliere regionale di Fratelli d'Italia Mauro Malaguti hanno ordito un giudizio trasversale sulla vicenda Carife. Il primo ha rigettato il modello localistico, e ha aggiunto che devono essere i privati a trovare una risposta valida ed efficace: la politica deve restar fuori dall'economia.

Il secondo ha affermato che "PopVicenza o un altro istituto con le dovute credenziali vanno tutti bene", poi ha osservato che "se la guida della banca fosse esterna questo migliorerebbe le opportunità per il territorio sbaragliando l'intreccio di connivenze e alleanze che ha fatto piombare la Cassa e l'economia locale in un baratro senza fondo".

AMANO LA PURGA

Constato, quindi, che queste letture a sinistra e a destra, amano la purga e non approvano la politica intesa come elaborazione di una prospettiva nella quale collaborare per sparigliare ciò che proprio Malaguti chiama "intreccio di connivenze e alleanze". È certo che l'eventuale acquisto di Carife da parte di un istituto extraterritoriale trasferirebbe ogni potere fuori Ferrara e si spaccherebbe l'"intreccio". Ma con un ulteriore marginalizzazione della nostra provincia, come se non ne avesse abbastanza.

PLUTOCRAZIA FERRARESE

Piuttosto sarebbe necessario che la politica - è una delle sue prime prerogative - discutesse, elaborasse, intervenisse affinché la plutocrazia ferrarese (il potere della ricchezza) facesse rete su tutto il territorio e decisamente servizio. Con un criterio di riforma e rinnovamento degli equilibri, che qui sono vecchi e replicanti.

UN'ALTRA EPOCA

Sarebbe necessario che anche il sindacato facesse fino in fondo il sindacato, come auspicato dalla segreteria provinciale della Cgil: "Di questa malagestio anche i sindacati sono stati censori troppo timidi, frenati dalla necessità di confrontarsi con il rischio reputazionale della banca". Nessuno può restare fuori dalla partita, o sotto il soverchio. E s'è visto ieri come i sindacati interni hanno alzato la temperatura del confronto.

Proprio la vicenda Carife potrebbe rappresentare lo spartiacque dell'epoca corrente. Quella che ha segnato la separazione fra la plutocrazia di una tinta, e le amministrazioni locali di altra tinta, il piccolo azionariato correlabile alla stagione delle cooperative e quello borghese di diversa fatta. Divaricazioni vecchie. Per Ferrara s'affaccia un'altra epoca.

MISSIONE

Ha ragione l'economista Andrea Gandini quando invoca "una difesa che porti a un piano industriale che tuteli la comunità e il nostro territorio. A tal proposito pare opportuno che i nostri politici (locali e nazionali) facciano la loro parte". L'appello è tagliato sartorialmente su un uomo ferrarese di governo, Dario Franceschini, i parlamentari, gli assessori e i consiglieri regionali, il primo cittadino Tiziano Tagliani.

Il quale è stato chiamato in causa dal deputato Bratti: "Penso che il sindaco dovrà capire se le soluzioni che saranno proposte a questa crisi potranno garantire realmente un rilancio della banca, dell'occupazione e del territorio piuttosto che cercare di posare un semplice e inutile puntello all'ombra del campanilismo". Sembra l'incoraggiamento a una missione.

Stefano Scansani

s.scansani@lanuovaferrara.it

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