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Pazzi e Ruffilli ricordano l’amico Canali

Pazzi e Ruffilli ricordano l’amico Canali

I due noti scrittori raccontano alla Nuova Ferrara il loro rapporto con il celebre latinista scomparso da pochi giorni

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Roberto Pazzi e Paolo Ruffilli raccontano in un’intervista la loro amicizia con Luca Canali, il celebre latinista scomparso la settimana scorsa 92enne. In veste di suoi padrini, stretti a loro volta intorno ad anni di pagine condivise, hanno presentato il suo ultimo romanzo al corrente Premio Strega. Match nullo, edito da Cavallo di ferro, tratta di una piccola storia all’interno della Storia maestra, un building romance ambientato nel cuore dell’Italia fascista: una vera amicizia interiore tra due ragazzi che vinse la divergenza delle rispettive fedi politiche, l’umano che trionfò sull’ideologia.

L’UOMO. «Forse era il più grande latinista degli ultimi decenni, quanto Canfora è il più grande grecista - ha cominciato Roberto Pazzi a descrivere l’amico - nato nel ’25 a Roma, giovanissimo divenne ordinario alla Normale di Pisa, ma si dimise tra i 40 e i 45 anni dalla cattedra di Letteratura latina a causa del suo disagio psichico che lo tormentava e lo deprimeva, costringendolo a 40anni e più di psicoterapia», ha continuato lo scrittore, seduto a un caffé sotto gli aceri del viale che separa Ferrara da parte a parte. E ha parlato con voce sincera per non perdere quel legame, per proseguire la strada insieme nella memoria. «Il senso estremo della vita è nella / parola autentica, nel / fiore casuale senza nome, / nell’occhio interrogativo del gatto, / nell’effimero lampo d'intelletto / fra il buio d’una mente ottusa / dal suo irreversibile handicap"» è l’essenza che emerge dalle poesie date sul limite alle stampe. Canali, affiancando la vitalità lacerante del poeta Leopoldo María Panero, riteneva che la terapia più efficace per la sua nevrosi fosse la scrittura, la cura costante delle parole. Letteralmente logopedia: «Era fluviale. Andava dall’editore come si va dal dottor Freud - ha commentato Pazzi con amarezza -, mi ha telefonato diverse volte durante l’inverno, lo sentivo spesso e volentieri. A ogni alzata di cornetta mi ricordava sempre Saba da anziano, siccome il piacere più grande che potevi dargli era lasciargli raccontare i suoi mali. Consolarlo». I due si conobbero scherzosamente durante un’edizione del Premio Strega e si scrissero tanto, specialmente su La malattia del tempo, che investì profondamente entrambi gli animi ed è sfociata negli inchiostri dell’autore ligure.

Parallelamente è andata per Paolo Ruffilli, che lo incontrò sui libri nei primi anni ’80. Si scambiavano a vicenda i titoli, i pareri, e discutevano per ore, finendo magari d’accordo. Fra le passioni in comune, oltre Goldoni e Nievo, tornavano le vicende degli scrittori garibaldini: «Abbiamo fatto insieme almeno tre trasmissioni per Rai 3, e ripenso con piacere quella incentrata su Ippolito Nievo. Ci sentivamo telefonicamente due o tre volte alla settimana, così da consolidare nel tempo la nostra amicizia". Da uomo sentimentale e sottile qual era, Canali sentiva dentro che le donne sono per noi la vera risorsa della vita e del mondo: "Erano per lui il sale e il sapore di ciò che continuamente rinasce rigenerandosi. Ma sapeva pure che proprio per queste virtù sono un’altra razza rispetto a quella maschile - ha spiegato lo scrittore reatino -, alieni gli uni alle altre, eppure attratti reciprocamente in un “sacrificio” carnale». E Roberto Pazzi si è aggregato al parere, scendendo nel dettaglio affettuoso: «Luca era un gran femminiere, era innamorato di continuo e subito deluso dalle sue conquiste. Tutte al pari della Lesbia di Catullo che conosceva bene, figure femminili per l’esistenza, ma introvabili in definitiva». Sul suo cammino, perciò, scrisse di Beatrici dantesche che dopo un attimo precipitavano negli inferi, tra le fauci inevitabili della realtà materica.

LO SCRITTORE. Per la narrativa Luca Canali vinse addirittura il Premio dei Lettori del quotidiano “la Repubblica”, che diffuse il suo stile ovunque: «Le sue traduzioni di Lucrezio sono magistrali - ha ripreso Pazzi -, il De rerum natura era un’opera a lui consentanea, essendo ateo, laico e politicamente impegnato. Inoltre, possedeva un eros illuminista fortissimo. L’epicureismo lucreziano aderiva come un guanto al suo orizzonte anti-spiritualista, al suo rigoroso credo marxista». Fondamentale, per chi ha studiato la materia, è stata la sua Storia della Letteratura latina uscita per Bompiani, una delle migliori del secondo ’900. Il romano poliedrico si era dato anche al giornalismo: «Era un logografo, bulimico di parole scritte - ha ammesso lo scrittore ferrarese di adozione -, questo era il limite e al contempo la grazia della sua produzione di qualunque genere. Luca era pervaso da una grande volontà di scrivere per sentirsi se stesso, pulsante, persino quando l’ispirazione non c’era. In casa tengo ancora care le liriche che dedicò alla figlia piccolina sull’Almanacco dello Specchio». Dal canto suo, Paolo Ruffilli ha curato e prefato Anticlimax, l’irriducibile poema a ribasso che Canali ha pubblicato con la Biblioteca dei Leoni qualche mese fa. Un altro assaggio, il suo augurio: “…scomparire / di colpo senza / lasciare tracce ma un vago / sorriso sulle labbra / di chiunque mi amò o soltanto / seppe di me. Le mie carte, i libri, i panni, il suono / stesso del mio nome si mutino / in cenere che appena / un lieve alito di / vento disperda”. Il suo lascito che rimane a riposare sotto i fili d’erba. Ruffilli sta ora raccogliendo dei versi sparsi nel Satyricon che Canali rese in italiano in maniera straordinaria: “Luca aveva una sensibilità accentuatissima, che di frequente nascondeva dietro a un modo burbero autodifensivo. La sensibilità giusta per un poeta, a cui si aggiungeva in un riverbero di specchi la sua intelligenza acuta. Effetto, nei suoi versi, di quella ‘lama dolce’ che caratterizza la sua poesia - ha concluso malinconico - ti accarezza e intanto ti taglia, sei preso teneramente e intanto sanguini”.

Matteo Bianchi

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