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«Bando, non c’è la minima prova»

«Bando, non c’è la minima prova»

Processo della centrale: il giudice Mattellini spiega l’assoluzione e boccia il lavoro degli inquirenti

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BANDO. Nè le indagini, nè le perizie nè tantomeno le testimonianze hanno dimostrato che nella centrale a biomasse di Bando di Argenta si bruciava materiale inquinante. È netta la “stroncatura” che il giudice Diego Mattelini assesta all’attività degli inquirenti nell’inchiesta sul presunto traffico illecito di rifiuti all’impianto di Bando. Nelle motivazioni della sentenza con cui, il 27 febbraio scorso, aveva assolto i quattro imputati, parla di un «colossale paradosso dato dal fatto che la lunga ed estenuante istruttoria dibattimentale non ha fornito la benché minima prova che nella centrale termoelettrica San Marco Bioenergie spa venissero smaltiti, mediante incenerimento, rifiuti pericolosi e non, a prescindere dal loro complessivo quantitativo».

Il sospetto che nell’impianto venisse bruciato materiale dannoso per la salute portò, nel 2006, al sequestro giudiziario con chiusura temporanea della centrale, suscitando comprensibili dubbi e timori da parte dei residenti della frazione. Peccato però, prosegue implacabile il giudice, che «la pg operante ometteva totalmente di effettuare una preliminare, minimale attività di osservazione e controllo dei carichi di materiale in entrata, con ciò venendo meno alle elementari e buone prassi operate sul piano investigativo». Al contrario «l’ipotetico accertamento in flagrante avrebbe dato un ben diverso significato alla complessa vicenda, dapprima sotto il profilo investigativo e successivamente sotto il profilo processuale».

Ma la formula con cui Mattellini ha assolto Giovanni Aliboni, dirigente della società San Marco Bionergie fino al maggio 2006, Massimo Costa, fuel manager, che acquistava il “combustibile”, Giacomo Gallusi, titolare della Enervision di Dosolo (Mantova) che forniva il materiale da combustione e Lanfranco Graziani, il vicecapo della centrale, non è avvenuto per la vecchia insufficienza di prove, ma con formula piena, perché il fatto non sussiste. Infatti dalle analisi del materiale e della cenere effettuata dal perito, l’ingegner Giuseppe Genon del Politecnico di Torino, è emerso che «il materiale combusto era legno con caratteristiche chimico-fisiche idonee allo scopo». Idem per i testimoni ascoltati in aula sul punto, che «escludevano l’assunto accusatorio».

Dunque, chiarisce Mattellini, «non manca la prova della combustione di rifiuti; è bensì vero il contrario, vale a dire che deve ritenersi acquisita la prova che presso la centrale termoelettrica veniva combusta biomassa; talora di qualità inferiore ma pur sempre biomassa». Anche sulla stima del materiale illecito che sarebbe stato bruciato a Bando (720 tonnellate l’anno) il giudice muove rilievi di metodo, parlando di «grossolana approssimazione investigativa adottata nel tentativo di computo dei valori in gioco».

Tra i reati contestati agli imputati, c’era poi il superamento dei limiti delle emissioni, la falsificazione dei dati e la loro mancata trasmissione all’Arpa.

L’impianto accusatorio, prosegue il giudice, anche in questo caso si è rivelato carente, per ragioni di metodo e merito: il cd contenente informazioni sui dati era inutilizzabile perché acquisito «in violazione dei diritti difensivi del soggetto» (ancora all’oscuro di essere indagato), e in ogni caso «grandemente dubbia appare l’attendibilità dei dati informatici in quanto preventivamente rielaborati e riordinati» in modo «autodidatta». Infine ancora il professor Genon «nel proprio elaborato rilevava un unico superamento del parametro Hcl (acido cloridrico) nell’anno 2004».

In conclusione «non esiste prova di falsificazione dei dati», nè «di omessa trasmissione dei dati» all’Arpa, e nemmeno «dell’effettivo superamento dei limiti».(a.m.)