Nella battaglia delle promozioni il consumatore esce vincitore
Molte variazioni dei prezzi fanno calare il conto finale in quasi tutti i punti vendita del “Paniere” Record di riduzioni al Bennet con un risparmio oltre il 4%, ma in testa rimane l’Ipercoop
C’è sicuramente una radice non blasé, verace e muscolare, opposta agli artifizi della costruzione intellettiva (imperanti nella gastronomia moderna), nel gesto istintivo che spesso ci fa preferire la trattoria, questo vetusto e demodato esercizio, ad altre destinazioni, sicuramente più rinomate, certamente più decorose, ma in cui la verità, o come sarebbe meglio dire la veracità, del cibo rimane più distante. In tutto ciò resiste un’eco delle nostre radici contadine, non c’è che dire, cui tutti noi, a torto o a ragione ‘inurbati’, apparteniamo. Non vogliamo dire che la gastronomia moderna possa fare a meno a cuor leggero del passato, anzi, molte delle esperienze di eccellenza (uno su tutti Massimo Bottura, ma gli esempi sono svariati) hanno avuto la buonagrazia di reinventarle, incorporarle, riconsiderarle. Ma ciò che intendevamo era altro, e non era giocoso; pensavamo alla semplicità di un piatto di pasta condito solo con olio, pomodoro e una fogliolina di basilico, o degli spaghetti al ragù più buoni al mondo. Un recupero di un’essenzialità che, forse, ci farebbe comodo anche su altri versanti. Del resto nella radice stessa del termine ‘trattoria’, trattore, in buona sostanza l’oste, c’è il sapore di un Piccolo Mondo Antico. Ma non bisogna farsi ingannare dalla semplicità, perché quella migliore, quella ottenuta per sottrazione, spesso fa approdare a risultati memorabili.
A tale proposito ci sovvengono due luoghi dell’eccellenza, in regione, per chiarire il concetto; luoghi dove i dogmi di territorialità e tradizione vengono tramandati anche in maniera aprioristica e monomaniacale, certo, ma con una costanza di rendimento ed una dedizione emblematici. Sui colli bolognesi, per l’esattezza a Savigno, ha sede la Locanda Amerigo dal 1934, un luogo di culto, depositario delle tradizioni gastronomiche più innervate nella provincia di Bologna. Prodotti locali, un culto dell’accoglienza che ha radici profonde, ormai entrato nel Dna, la trattoria, che ora è completata da locanda e da un gustosissimo negozio di prodotti tipici a marchio, è l’esempio più calzante di quello che intendevamo per rilettura della tradizione in chiave moderna, in una cucina di alto livello. Tortellini, passatelli asciutti (la versione con gamberi di fiume e pesto all’ortica, eccezionale), ma anche guancia di vitella brasata e maialino, piatti dai sapori corposi, senza dimenticare il cibo da strada, crescentine, tigelle e il ‘borlengo’, una specie di crêpe dal sapore intenso, che si dica risalga addirittura al Neolitico. Un pasto che ha la caratteristica non sottovalutabile di essere insieme evocativo ma anche di ottima fattura, proposto con un rapporto qualità/prezzo notevolissimo.
Per raggiungere la seconda meta del nostro pellegrinaggio ci spingiamo invece nella provincia di Forlì/Cesena, ma per una volta niente lungomare, parchi giochi o nottate all’insegna della trasgressione. La Locanda Al Gambero Rosso, che ha sede a Bagno di Romagna, ha anch’essa una storia che proviene da lontano, dal 1951, ma la sensazione che si prova facendo il proprio ingresso in questo locale è davvero particolarissima. La cucina della nonna, ma una nonna che abbia sviluppato una vera ossessione per la cucina, come accoglienza ma anche come perfezione della manifattura, e nello stesso tempo abbia trovato la chiave per renderla emozionale: ecco, più o meno questo. Una cura che traspare in tutto, nei tortelli di patate, nelle erbe, nelle zuppe, nei piatti che si trovano soltanto qui, ed è impossibile reperire altrove, come i basotti, la minestra di castagne, la farinata ed il migliaccio di grano, il pancotto.
L’evocazione fa uno strano effetto, a volte. Regala viaggi nel tempo, come quelli immaginati da Jules Verne. Per un attimo, nella sala del ristorante, il tempo ha smesso di avere un significato e siamo tornati dei bambini. E la cosa che ci ha fatto più felici è che, quel momento, non ci fossero parole adatte per descriverlo.
Riccardo Corazza
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