Il richiamo di Bassani alla lezione dei liberali
Un parallelo fra “Di là dal cuore” e Gobetti esule a Parigi
di GIUSEPPE BRESCIA
L. o scrittore ferrarese Giorgio Bassani, amico e sodale del critico d’arte e instancabile organizzatore di “Giustizia e Libertà” Carlo Ludovico Ragghianti, in Di là dal cuore, parlando del volo su Roma dell’antifascista Lauro De Bosis, si richiama alla lezione di Carlo Rosselli, Piero Gobetti e dei liberali eretici (“Opere”, ed. Cotroneo, Milano 1998, p. 1045). A 90 anni dalla pubblicazione di “Rivoluzione Liberale” e nella prospettiva dell’anniversario dell’assassinio dei fratelli Nello e Carlo Rosselli in Francia (9 giugno 1937), riprendo la biografia romanzata di Gobetti. Paolo Di Paolo immagina che Gobetti, esule a Parigi nel febbraio ’26 e già contestatore di insoddisfacenti lezioni accademiche su Dante, si incontri per caso, sulla banchina prossima all’ospedale in cui è ricoverato, con il proprio segreto ammiratore Moraldo, incredulo di poter avvicinare ‘in extremis’ un modello di vita, il testimone di verità e libertà, a lungo cercato e rincorso senza successo. Moraldo, a sua volta, si trova a Parigi negli stessi giorni della fine prematura di Piero per mera disavventura, avendo inseguito oltralpe la fotografa Carlotta, della cui valigia è entrato in possesso per errore, e del cui cuore ha conquistato un’altrettanto provvisoria e occasionale corrispondenza. Su questo giuoco di piani multipli, un poco alla Calvino, si inserisce la ricerca del ‘padre’. Ripercorrendo la parabola intellettuale e politica del Gobetti, ma anche l’humus culturale torinese, il ‘padre’, ossia l’autorità morale e civile, prima e dentro la estetica, è indubbiamente Croce, il “Croce oppositore”, e che fronteggia i “pagliacci della cultura” (lo dice Gobetti nelle pagine di “Rivoluzione Liberale”); ma ancor prima il Croce della “Critica”, della militanza chiarificatrice delle idee, dell’autonomia dell’arte e della liberazione estetica da ogni precettistica. Ora, la ragazza che il giovane Moraldo conosce all’Università di Torino a inizio ’26, mentre si sta spaccando la testa sulle opere di Kant ed Hegel, ben può essere affettivamente coinvolta dalla filosofia del Croce. «Ripetevano insieme per l’esame, lui le strappava il libro dalle mani, adesso tocca a me. Se ne fosse stato capace, le avrebbe letto “La filosofia di Giambattista Vico”, del Croce, fresco di stampa, con il tono di una dichiarazione d’amore. Dove ti eri fermata? Dove dice ‘discorrendo’. Va bene, allora riprendo da lì: “gl’individui e i popoli, nel fervore del produrre o appena uscenti da quel fervore, possono forse esprimere il loro stato d'animo” - se potesse, se sapesse farlo, le svelerebbe il suo, le direbbe il posto che occupa per lui una passeggiata fatta insieme attraverso il parco del Valentino gelato: era quasi buio, la brina sulle foglie mandava una luce scintillante - Perché ti sei fermato? Scusami, riprendo subito, mi stavo concentrando, cercavo di capire... “quando non si rassegnano a tacere e ad aspettare, narrano di sé storie fantastiche, verità e poesia commiste”». Così, l’autore fantastica di coniugare storia e autobiografia, il significato della filosofia della storia vichiana per Croce e il varco esistenziale per la dichiarazione d’amore al Valentino (“Mandami tanta vita”, Feltrinelli 2013).
Le lunghe passeggiate parigine, gli ampi spazi dello Chatelet, appena del luglio ’25, si incastrano nella memoria con il duro esilio imposto per regio decreto, dopo le censure e i sequestri ordinati dalla censura fascistica. Il 4 e 5 febbraio del ’26, scrivendo ad Ada, Piero si misura sulle difficoltà della “Critica della ragion pura”, tornando a Croce, unità di misura per la pienezza di vita da riconquistare ogni volta. «Essere all’altezza di Croce non significa essere all’altezza della quotidianità». Il carteggio con Ada è un contrappunto di quanto possano dire “vitalmente” De Sanctis e Croce, anche alla luce dell’idea di “intuizione lirica” e dell’autonomia dell’arte: «Scrivimi tutti i dubbi che ti vengono», «Vedrai quando avrò letto Croce che mostro di intelligenza sarò». Il velo d’ironia e autoironia non toglie che la lezione di Croce permanga nel rifiuto di ogni facile sentimentalismo “effusivo”: «L’antisentimentale che censura negli altri le tentazioni romantiche, gli abbandoni emotivi». Ma tutto ciò accade perché prevale la ricerca dell’autentico “mondo della vita”: «La vita è già senso». «Una lettera di Didì è la vita sai? Quindi mandami tanta vita».
Soprattutto, a misurarsi con la potenza della vita è la poesia di Eugenio Montale, dei cui Ossi di seppia Gobetti è stato primo editore nel ’25. Così, il libro è una “cosa nuova”. «Erano così belli, così nuovi, questi versi ! E adesso esistevano». «Tra matasse di versi che a lui risultavano oscuri, se ne staccavano alcuni che come lapilli illuminavano per un istante l'insieme» (è l’impressione di Moraldo).
Il Di Paolo cita i versi montaliani “Godi se il vento ch’entra nel pomario / vi rimena l’ondata della vita”, e il ‘nostro’ “E piove in petto una dolcezza inquieta”.
La pienezza della vita si traduce nel carattere di totalità dell’arte (terra e cielo in Dante; dolore in terra e dolore in cielo nella Cappella degli Scrovegni a Padova; l’armonia ariostea; comico e tragico nello Shakespeare; vita e morte in Foscolo; Paradiso e Inferno in Baudelaire). Onde, si può tornare al mio primo libro (Non fu sì forte il padre. Letture e interpreti di Croce, Galatina 1978) e alla corrispondenza con Bobbio in Sviluppi filosofici nella più recente ‘scuola’ crociana (Fasano ’83). Ora, si è in presenza di un nuovo “Non fu sì forte il padre”, a beneficio della nuova Italia. Il libro del Di Paolo si chiude sul momento culminante delle linee Parigi-Torino, e della ricerca di ‘vita’. «È così, monsieur, è vero? Potrebbe chiederlo al tassista. Potrebbe aprire il finestrino e domandarlo ai passanti, gridare Le idee, almeno le idee, ci sopravvivono? Forse anche i sentimenti». Moraldo registra una sorta di “eroismo da niente”. Respinto alla fine da Carlotta a Parigi, come l’io narrante di Bassani lo è da Micòl a Ferrara nel Giardino dei Finzi Contini, il giovane tocca la “stanchezza dell’universo” nella notizia giornalistica della morte di Piero. La ricerca del ‘padre’, dei ‘padri’, accomuna Moraldo e Piero, le generazioni della nuova Italia, la eredità del Risorgimento e del liberalismo, la critica de “Il mondo va verso...” (citata anche da Bassani come il mito del “mondo che va” nel passo profondo sul De Bosis di Di là dal cuore). Il giro delle categorie spirituali può esser esemplato, alla fine, nelle parole del Poeta Montale, “Mia vita, a te non chiedo lineamenti / fissi, volti plausibili o possessi. / Nel tuo giro inquieto ormai lo stesso / sapore han miele e assenzio". Se non fosse che la indifferenza 'divina' al miele o all'assenzio rimane altra cosa rispetto alla sintesi dinamica degli opposti, timore e speranza, cautela e ardimento, essa sì ‘dialettica delle passioni’, fervore creativo operante nel ‘giro inquieto della vita’”.
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