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Fabio Anselmo, 'Io avvocato delle vittime di Stato'

Fabio Terminali
L'avvocato Fabio Anselmo
L'avvocato Fabio Anselmo

Da Aldrovandi a Bifolco: le interviste della Nuova. Parla il legale più cercato in Italia, che assiste tutti i casi nazionali in cui sono sotto accusa le forze dell'ordine per presunti abusi

08 settembre 2014
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FERRARA. Il telefono dell’avvocato Fabio Anselmo non smette di squillare, dentro la redazione della Nuova Ferrara. Lui risponde sempre a giornalisti, televisioni, padri delle vittime. “Giovanni, non replicare alle provocazioni e non parlare del caso. E ricorda: il processo mediatico è bello, ma pericoloso”.

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L’emergenza, in queste ore, è per la vicenda di Davide Bifolco, il 17enne ucciso da un carabiniere mentre era a bordo di uno scooter con altri due amici. “Ancora prima di assumere l’incarico, ho fatto un comunicato stampa intitolato “Chi vuole male a Davide”. Ho trascorso sabato e domenica a Napoli, l’autopsia c’è mercoledì mattina”.

Quello di Bifolco si va ad aggiungere a una lista ormai lunghissima di casi molto delicati seguiti dal legale ferrarese: Riccardo Rasman, Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Michele Ferrulli, Vittorio Morneghini, Filippo Narducci, Edoardo Tura, Riccardo Magherini, Bernardino Budroni.

Avvocato, ma perché sempre lei?

«Perché sono un matto. E chi si rivolge a me è disperato. In questi anni abbiamo accumulato una certa esperienza su una materia particolarmente delicata come la medicina legale e possiamo contare su contatti e conoscenze dirette con professionisti di primo livello».

Cosa serve per affrontare vicende simili?

«Una sensibilità particolare sicuramente e non parlo solo di me. E guardi che non si tratta di casi remunerativi, nell’immediato, perché coinvolgono persone e famiglie che hanno mezzi economici limitati. Solo qualche volta, poi, si è arrivati a ottenere un risarcimento».

Si parla di “processi mediatici”. Dicono che lei sia particolarmente bravo a richiamare l’attenzione delle telecamere e della stampa.

«La verità è che senza processi mediatici, quelli reali poi non si farebbero, nella grande maggioranza dei casi. Le vicende che hanno grande rilevanza sui media hanno regole completamente diverse dagli altri. L’avvocato deve avere un comportamento onesto e cristallino: solo così si riesce a guadagnare la fiducia dei giornalisti. Io poi tratto tutti allo stesso modo, dal Tg1 al più piccolo giornale».

(Ancora il cellulare che squilla: è Mattino Cinque che chiede un’intervista) Scusi, ma lei ha un ufficio stampa?

«Sono io l’addetto stampa di me stesso. Assumere uno staff apposta? Non ci penso: costa».

Tutto cominciò con Federico Aldrovandi. Cosa ricorda di quell’inizio?

«In un primo tempo pensai che si trattasse di un caso di colpa medica, solo successivamente realizzai. Dopo i processi devo dire che Ferrara è cambiata: dopo una prima fase di comprensibile diffidenza, la città ha preso poco a poco coscienza di quella tragedia incomprensibile».

Quanto merito di Anselmo c’è nella risoluzione della vicenda?

«Non sono io a doverlo dire. È sufficiente leggere le sentenze. Certo, ha contato molto l’onesta di un pm come Proto. Ho dato troppo per scontato, nelle vicende successive, che tutti fossero come lui. Così non è stato però».

Si è fatto dei nemici, avvocato?

“Sinceramente non lo so. Ma tutto sommato lo considero inevitabile. Questo ha provocato e provoca momenti di stanchezza, un costo umano ed emotivo molto elevato, che per ora non ha prevalso rispetto alla voglia di arrivare alla verità».

A volte lei è partito in salita. Come per la morte di Bifolco. In fondo, molti pensano che quei giovani erano in tre sul motorino, che non si sono fermati al controllo e che uno di loro era un latitante.

«Guardi che questo caso potrebbe essere molto semplice sul versante giudiziario, quanto complicato sotto il profilo sociale e ambientale. Comunque il cosiddetto latitante non esiste, non era sul motorino. Il colpo di pistola sparato dal carabiniere è inequivocabile. Poi se si vuole pensare che quel che è successo non è realmente accaduto, beh, allora ci sono dei problemi. Per me la legge deve essere uguale per tutti. Se poi il codice è cambiato, ce lo dicano. Il punto però è un altro».

Prego.

«Riguarda i “morti di Stato” di cui mi sono occupato. Vede, all’inizio sono descritti some drogati (Aldrovandi), spacciatori (Cucchi), stalker (Budroni): tutti inquadrati in categorie sociali che hanno un buon livello di disonore. L’opinione pubblica è distratta e finisce per crederci».

E lei ne ripulisce l’immagine.

«Beh, così è un po’ cruda. Diciamo che punto sulla forza dei fatti, anche attraverso pubbliche relazioni a tutto campo».

I colleghi avvocati cosa pensano di lei? Invidiosi?

«Non me ne preoccupo. So solo che i casi di cui mi occupo nessuno li vuole, poi una volta che esplodono tutti li vorrebbero. Dicono che sono casi “montati dall’avvocato Anselmo”. Peccato ci siano dei morti di mezzo…».

Ha portato Ferrara alla ribalta. Qualcuno potrebbe pensare lei sia del Foro di Milano o di Roma, invece.

«Proprio così, tanto che qualcuno si dice un po’ stupito io venga da qui e mi chiedono “ma come fa lei a essere di Ferrara?».

(Altre telefonate, il cellulare brucia) Onestamente, vedendola così attivo, è difficile vederla al Csm. Il Movimento Cinque stelle l’ha candidata.

«Mi ha fatto molto piacere e ne sono onorato. Dovrei autosospendermi dalla professione, vedremo. Ma con i grillini sono stato chiaro da subito: ho detto loro che ho la tessera del Pd».

Partito che non l’ha candidata a nulla.

«Infatti».