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Ebola, le istruzioni per non sbagliare

Il protocollo di Asl e Sant'Anna per annullare i rischi di contagio: dalla vestizione dell'operatore al trasferimento del paziente

22 ottobre 2014
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Molto più di un vademecum, quasi un testo sacro. Istruzioni da imparare a memoria per gli operatori sanitari chiamati ad intervenire su un presunto caso di infezione da virus ebola. Sono le 25 pagine del protocollo adottato da Asl e Azienda Sant’Anna per trattare un eventuale caso di contagio segnalato nella provincia di Ferrara. Regole minuziose che giovedì scorso sono state messe alla prova nel corso di una simulazione organizzata nell’ospedale di Cona.

Prescrizioni salva-salute, forse salva-vita per l’operatore (infermiere, medico o assistente di base) che prende in carico il paziente per accompagnarlo nei percorsi diagnostico-terapeutici predisposti dal Sistema sanitario nazionale. Una rete che comprende tutti gli avamposti individuati per l’accoglienza e il primo contatto con il paziente, dalla guardia medica al medico di base, dal pediatra al pronto soccorso dell’ospedale. L’ombrello si estende fino alla fase di trasporto in ospedale o da un ospedale a un altro. «La simulazione ci è stata utile per individuare alcuni aspetti su cui intervenire - spiega Marco Libanore, primario del reparto di Malattie infettive del Sant’Anna, dove saranno ricoverati i casi sospetti (se ci saranno) in attesa dell’accertamento definitivo - Ad esempio stiamo valutando se la camera di isolamento deve essere dotata di un laboratorio d’urgenza per evitare di far circolare le provette e dover poi provvedere ad ulteriori disinfezioni». Un altro scenario che deve essere approfondito è legato al trattamento dei pazienti pediatrici, che richiedono la presenza di un parente nell’ambiente di ricovero. Nel reparto una camera è sempre libera per accogliere un eventuale paziente.

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Persone che devono essere adeguatamente informate e trattate. Il protocollo indica il periodo di incubazione della malattia (8-10 giorni in un range di 2-21 giorni), elenca i sintomi (mal di testa, vomito, diarrea, dolore addominale, manifestazioni emorragiche, insufficienza multiorgano) che devono essere associati ad aspetti epidemiologici (presunto contatto con paziente infetto o soggiorno in un Paese dove è in corso l’epidemia, come Guinea, Liberia, Sierra Leone e Congo) per configurare un caso “sospetto”. La diagnosi viene perfezionata attraverso le indagini di laboratorio eseguite all’ospedale Spallanzani di Roma. L’esito deve essere acquisito entro 24 ore dal ricovero. Il documento si sofferma anche su alcune indispensabili precauzioni: igiene delle mani «per prevenire la trasmissione delle infezioni ai pazienti, agli operatori e ad altre persone» e igiene respiratoria (coprire bocca e naso in caso di tosse e starnuti seguita da igiene delle mani). Viene consigliato il mantenimento di «almeno un metro di distanza da persone con sintomi respiratori».

Vestizione e svestizione del personale devono essere eseguite con grande cura e attenzione. «Neanche un millimetro di cute deve rimanere esposto», precisa Libanore. Un’operazione che richiede anche mezz’ora per essere completata nel modo corretto (altrettanto per la svestizione). I recenti casi di Dallas e Madrid, con personale sanitario contagiato, hanno imposto una definizione di regole per massimizzare la protezione degli operatori. Parte dei dispositivi utilizzati deve essere smaltita in contenitori dedicati. Della dotazione base fanno parte: maschera chirurgica e guanti, a cui si possono aggiungere tuta monouso, calzari, occhiali o visiera, filtrante facciale, grembiule protettivo monouso, doppio paio di guanti. (gi.ca.)