La Nuova Ferrara

Ferrara

una storia di giustizia

«Contro chi violentò mia figlia e i giudici»

di Daniele Predieri
«Contro chi violentò mia figlia e i giudici»

La bimba viveva con il patrigno che abusava di lei. Il padre: «Finalmente dopo 8 anni la condanna finale della Cassazione»

27 ottobre 2014
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«Vieni qui che ti insegno come si fa, così quando sarai più grande saprai come fare»: già solo le parole sono violente, si può immaginare cosa succedesse dopo. Quella bambina violentata non aveva nemmeno 12 anni, ed era il patrigno a volerla «educare» così, a suo modo. Erano atti sessuali, ripetuti e subdoli da chi avrebbe dovuto darle affetto: violenze per cui l’uomo, un ex sottufficiale dell’Aeronautica di Ferrara, 40 enne, è stato condannato in Cassazione, nei giorni scorsi, alla pena di 6 anni e 8 mesi, confermata e ora definitiva per le violenze imposte a quella bambina che ha 22 anni, oggi, e sta tentando di dimenticare. Potrà farlo, grazie allla lotta del padre, ferrarese 45enne, che l’ha seguita per 10 anni, contro la giustizia, per avere giustizia.

Ed è questa la storia da raccontare, simbolo, tra Ferrara e Bologna, di una Malagiustizia che disorienta: finito il primo processo a Bologna, i giudici impiegarono 1 anno e 7 mesi per depositare la sentenza di condanna, bloccando di fatto il processo: un ritardo «abnorme» commentò facendo ammenda pubblicamente, nel 2010, il presidente della Corte d’appello di Bologna, Francesco Scutellari dopo che il caso venne denunciato da la Nuova Ferrara.

«Adesso il mio calvario giudiziario è finito - confessa sollevato il padre -, sono solo felice che tutto si sia davvero concluso, perchè combattere con una giustizia così lenta e burocratica è stato devastante: ad ogni udienza, ogni processo, in tutti questi anni, era come prendere un pugno allo stomaco». Otto anni è durato il calvario di questo padre, lottando per la figlia, che aveva vissuto fino al 2004 con la sua ex moglie e il compagno, il patrigno appunto. «Con i miei legali, Riccardo Ziosi per mia figlia, e Raffaella Prendin per me nei primi processi, e in Cassazione con l’avvocato Mario Scialla, siamo andati fino in fondo, determinati, ma quando una causa penale viene a toccare la tua famiglia e' devastante, figuriamoci quando la vittima e' tua figlia che era una bimba».

Anni e anni di dolore: insopportabile davanti ad una giustizia lenta e macchinosa. «In tutti questi anni, ogni volta che sono stato in aula era il riaprirsi di una ferita profonda, per i ricordi, i volti di persone, se cosi' si possono definire, che non vorresti vedere: sono stato presente a tutte le udienze dei processi in primo grado e in appello e il 22 ottobre scorso anche in Cassazione».

Tutto partì nel 2004, dalle confessioni della bambina alla nonna paterna, alla zia, sorella del papà, e ad un coetaneo: le violenze, quelle lezioni di sesso («così saprai come fare quando sarai grande») le erano imposte dal patrigno che viveva con la madre, ex moglie dell’uomo che oggi racconta.

«Ricordo tutto come fosse ieri: la denuncia, l’indagine, il primo processo dopo alcuni anni, tra rimpalli e rinvii, per vari motivi: richieste, verifiche, testimonianze. Tutte le volte in aula era davvero una sofferenza».

Poi la prima sentenza: 13 marzo 2009, «e quel giorno, quando dopo 10 ore passate in tribunale ad aspettare i giudici condannarono il patrigno di mia figlia, fu un sollievo immenso». Da quel momento, però, e' cominciato il vero calvario: quei quasi 2 anni ad aspettare che un giudice si mettesse al computer e scrivesse il perchè della condanna (atto fondamentale perchè senza di esso si rischiava di far dimenticare il processo e prescriverlo). Inutili le sollecitazioni bonarie, gli esposti, le pressioni dei legali. «Poi, mi rivolsi a voi e dopo l’ interessamento della Nuova Ferrara prima e poi di tanti altri giornali e giornalisti, come d'incanto le motivazioni di condanna sono state depositate».

Il processo d’appello riparte a fine 2011, poi rinvii su rinvii, anche il teremoto: tutto slitta ancora, fino al 26 febbraio 2013, «quando anche in secondo grado ho ottenuto il risultato che speravo, la conferma della condanna». Ma non è finita, passa ancora un anno e mezzo prima del processo di Cassazione: «Per mesi ho guardato il calendario, il 22 ottobre 2014, aspettando di avere giustizia. Sono andato a Roma mercoledì scorso, III sezione penale di cassazione, ore 11,30: un processo lampo, con i giudici che avranno discusso sì e no per mezzora: ma non sono entrato in aula, non me la sentivo, ho visto e ascoltato tutto dalla porta aperta». Poi l’attesa della sentenza e la telefonata dell’avvocato, che ti cambia la vita. Ti rasserena, mette fine ai mostri che hai dentro. Ti dà pace. «Sì è così, alle 11.40 di venerdì scorso ho ricevuto finalmente la telefonata che attendevo da quasi 8 anni, la conferma della condanna». «Per che cosa? Per una storia orribile che ha toccato tutta la nostra famiglia: ora spero che la mia "piccola", oggi 22 enne prosegua senza piu' dover pensare a questo, anche se non lo dimentichera' mai, come non lo dimenticheremo noi tutti che l'abbiamo vissuta con lei, resa ancor più orribile per aver dovuto combattere contro una giustizia cosi' lenta e burocratica: sì, sono davvero felice che sia tutto finito».