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la tragedia di said

La sentenza: morto di freddo, tutti colpevoli

Alessandra Mura
La sentenza: morto di freddo, tutti colpevoli

Condannati per omissione di soccorso i quattro imputati. L’accusa: «Ucciso dall’indifferenza, nessuno chiamò il 118»

29 ottobre 2014
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Tutti responsabili di omissione di soccorso, tutti colpevoli di indifferenza. È stato il freddo, ma anche il «venir meno del dovere di solidarietà umana» a uccidere Said Belamel, il marocchino di 29 anni morto assiderato nella notte tra il 13 e il 14 febbraio 2010 dopo una serata alla discoteca M. Butterfly. E per il quale la Nuova aveva chiesto giustizia con un “necrologio” in prima pagina. Questa la conclusione, ieri pomeriggio, del processo che vedeva imputate quattro persone per omissione di soccorso. Il giudice Alessandra Testoni ha inflitto la pena più alta a Mounir Zouina: 1 anno e 2 mesi all’amico di Said, suo compagno di disgraziata baldoria, che dopo aver fatto intervenire invano un taxi non aveva chiamato l’ambulanza ed era tornato dentro a ballare immemore di tutto: dell’amico rimasto fuori nel piazzale incapace di provvedere a se stesso; e del cellulare di Said che si era infilato in tasca, privando l’amico del solo mezzo con cui avrebbe potuto chiedere aiuto.

Condannati a un anno Paolo Nicolini e Sandro Bruini, rispettivamente addetto al parcheggio e alla sicurezza della discoteca, che a loro volta non chiamarono il 118 e poi videro Said allontanarsi malfermo dal piazzale del locale.

Condanna più lieve per Paolo Campagnoli, l’unico a cui il giudice ha concesso le attenuanti generiche, l’unico a non essersi avvalso della facoltà di non rispondere, l’unico sempre presente alle udienze, anche ieri: 6 mesi dunque al tassista chiamato per riaccompagnare Said a casa e che correttamente capì che il giovane aveva bisogno di un’ambulanza, ma che a sua volta non provvide a chiamarla avendo ricevuto assicurazione che ci avrebbe pensato l’amico.

Il pubblico ministero Nicola Proto, da parte sua, nella sua requisitoria non aveva invocato sconti, chiedendo 1 anno e 2 mesi di condanna per tutti gli imputati e pronunciando parole severe: «Questo caso richiede un intervento di giustizia non solo processuale, ma umano. Viene fuori tutta l’indifferenza nei confronti del prossimo, si coglie a piene mani il venir meno del dovere di solidarietà da parte di tutti». Tutti responsabili di omissione di soccorso, ha sostenuto il pm, tutti indifferenti quanto basta per dare per scontato che ci avrebbe pensato qualcun altro, a chiamare l’ambulanza, a chiedere soccorso per qual ragazzo troppo ubriaco per reggersi in piedi, e che poco dopo si sarebbe allontanato barcollando dal locale, sarebbe caduto nelle acque gelide del canale di via Colombo, avrebbe vagato per ore seminudo, intirizzito e disperato nella zona della piccola e media industria, tra le auto che - più indifferenti degli imputati - gli passavano accanto. E che sarebbe stato ritrovato al mattino, ormai in agonia, da una guardia giurata per poi morire alle 9.30 al Sant’Anna. Erano state le telecamere a circuito chiuso delle aziende a filmare il deserto di sofferenza notturna di Said, e sempre secondo il pm il tempo breve intercorso tra l’allontanamento di Said dal locale e la catena di avvenimenti che ne hanno determinato la morte ha stabilito un nesso tra le omissioni contestate e la tragedia finale. L’accusa ha insistito sul fatto che gli imputati non potevano non essere consapevoli dello stato di pericolo e bisogno in cui si trovava Said, suggerendo inoltre che, per vari motivi, nè Mounir nè i due addetti avevano interesse a far intervenire il 118 e le forze dell’ordine. Ricostruzione contestata dai difensori. Dario Bolognesi (per Campagnoli) ha ribadito che non solo il tassista aveva il diritto, come da regolamento, di non caricare una persona incapace di badare a se stessa, ma che quando era risalito sul taxi aveva lasciato Said circondato da altre persone «e dunque nè in stato di pericolo nè di abbandono». Gli avvocati Stabile, Guidi, Zuppa e Gamberoni hanno invece sollevato dubbi sull’utilizzabilità di un terzo addetto della discoteca, sentito come testimone ma che «avrebbe dovuto essere il quinto imputato, perché la sua condotta non è stata diversa da quella contestata agli altri quattro». Ai quali, per giunta, «Said appariva come una persona ubriaca ma non in pericolo». Non così ha ritenuto il giudice (motivazioni fra 90 giorni): a spegnere Said è stato un “black out” collettivo di coscienza.

Alessandra Mura