La Nuova Ferrara

Ferrara

Caccia a chi aiutò ad uccidere la Burci

di Daniele Predieri
Caccia a chi aiutò ad uccidere la Burci

Processo bis a Rovigo da Ferrara: i magistrati al lavoro per identificare gli altri assassini della ragazza, bruciata viva

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L’altro processo comincia solo adesso, dopo oltre 6 anni dalla morte di una povera ragazza di 19 anni, Paula Burci, romena, arrivata tra Ferrara e Rovigo con la valigia piena di sogni e uccisa perchè erano diventatati incubi e li rifiutava: vendersi ed essere sfruttata con violenza. L’omicidio di Paula Burci dopo tre processi e una decina di giudici che si sono pronunciati è stato del tutto azzerato perchè il processo - ormai concluso - non si doveva fare a Ferrara ma a Rovigo: così ha deciso la Corte Suprema, la Cassazione, spostando la competenza territoriale. Sentenza che ha di fatto ha aperto le porte del carcere - pur con tutte le giustificazioni tecnico giuridiche ammissibili - di due persone condannate all’ergastolo: Sergio Benazzo e Gianina Pistroescu. Però, come è emerso nei processi, pur condannati come esecutori dell’omicidio, non furono i soli ad uccidere la ragazza.

E il nuovo processo che si sta costruendo alla procura di Rovigo dovrà accertare proprio questo. Perchè Paula Burci - questo il movente dell’omicidio - non voleva essere «venduta» da Benazzo e Pistroescu per loro debiti, ad una banda spietata di sfruttatori dell’est. Così venne uccisa in una spedizione punitiva (doveva essere un avvertimento e poi sfuggito di mano) da un gruppetto formato da un albanese, un marocchino e duepersone di nome Rodolfo e Alfredo, come era emerso dal processo di Ferrara e dagli atti giudiziari. La ragazza venne uccisa, secondo i rilievi medico-legali, alla metà di febbraio del 2008, un mese prima del ritrovamento del suo corpo. Secondo i medici-legali, la ragazza venne picchiata nella casa di Villadose di Sergio Benazzo: colpita a calci e pugni dal quel gruppo di persone, poi con un’arma simile ad un forcone la colpirono allo sterno, con tale violenza da incrinare le ossa. Quindi colpita alla testa con un maretllo, quattro volte. «In coma e priva di coscienza» venne portata nella golena del Po a Zocca di Ro.

Qui bruciata, e come hanno evidenziato i medici-legali, bruciata viva: «Abbiamo trovato particelle di carbonio nei tessuti polmonari, compatibili con l’inalazione della combustione». Ora la procura di Rovigo dovrà rivedere e studiare tutte le carte che la procura di Ferrara ha inviato dopo il trasferimento del processo: carte sulle persone individuate e archiviate e sui testimoni che hanno rischiato falsa testimonianza durante il processo.

Una su tutti, Claudia Malagugini sentita diverse volte, su sua richiesta («non ho detto tutto al processo», disse chiamando i carabinieri), sostenendo che Benazzo era innocente e stava coprendo qualcuno. Disse di averlo saputo da Rodolfo Zamarco, titolare della locanda Valmolin di Arquà Polesine, indagato per concorso in questo omidicio e poi archiviato. Disse di aver dato versioni diverse «perchè di Rodolfo ho paura, dicono sia della Mala del Brenta anche se è stato dichiarato innocente», spiegò in aula, nel 2012: chissà cosa potrà dire oggi?