Camera di Ferrara e Ravenna. «Fusione? È meglio di no»
Il ministro e le due Province concordi nel valorizzare l’autonomia dei due enti. Centinaio: riforma scellerata. Paron e De Pascale: più garanzie se restano divise
FERRARA. Questo matrimonio non s’ha da fare, né domani né mai. C’è un non so che di manzoniano nel destino - complicato e a ostacoli più di un “3.000 siepi” - del progetto di fusione tra le Camere di Commercio di Ferrara e Ravenna nelle quasi contemporanee esternazioni prima del ministro Gian Marco Centinaio e successivamente nella nota congiunta dei due presidente delle province di Ferrara e Ravenna.
Il Ministro Centinaio
«La riforma delle Camere di Commercio è scellerata, farò di tutto perché si torni indietro». Questo il lapidario giudizio del ministro per le Politiche agricole e forestali Gian Marco Centinaio, nel suo intervento alla 27ª Convention mondiale delle Camere di commercio italiane all'estero, che si è aperta ieri a Verona. «Le Camere di commercio funzionano - conclude - perché andare a toccarle? Lasciamole lavorare».
Paron e De Pascale
La richiesta al Governo di mantenere l’autonomia delle due Camere di Commercio evitando così il già avviato processo di fusione è perentoria. Le province di Ferrara e Ravenna, in un comunicato congiunto firmato da due presidente, Barbara Paron e Michele de Pascale, si schierano per lasciare le due Camere di Commercio indipendenti, facendo seguito anche all’interrogazione in Regione dalla consigliera Zappaterra.
«Stiamo parlando di due Enti molto ben gestiti - dicono i due presidenti delle province che in questi anni hanno distribuito risorse molto rilevanti a sostegno dei progetti di sviluppo del nostro territorio, con la massima attenzione a non gravare eccessivamente sulle imprese non contrarre forti indebitamenti. La fusione nasceva come obbligo, per le disposizioni di legge approvate nella precedente legislatura e, sostanzialmente, legate al processo di abolizione delle Province che, come tutti ben sanno, è stato bocciato dal Referendum Costituzionale, e ha lasciato i nostri Enti in uno stato di grave difficoltà».
«Condizioni mutate»
«Le condizioni sono mutate - affermano i due presidenti - e mentre si istituisce un tavolo nazionale per il riordino delle Province, per le quali si sente persino ventilare l’ipotesi di un ritorno all’elezione diretta, sarebbe sbagliato procedere senza rendersi conto del disegno complessivo, che rischia di mutare quotidianamente anche a causa dei numerosi ricorsi. Non crediamo sia più tempo di procedere per tentativi nella riforma di tutte le istituzioni della Repubblica ma solo dentro ad un quadro organico che metta i territori e le loro identità al centro per dare servizi più efficienti ed efficaci a cittadini ed imprese e in questo senso il mantenimento dell’autonomia nella dimensione provinciale ci sembra la soluzione che al momento dia maggiori garanzie».
Facendo leva anche sull’unità d’intenti dei due territori, le due Province perorano però la causa dell’autonomia in virtù di una buona gestione delle singole Camere di commercio che sono diventate punti di riferimento dei territori. Il tutto a pochi giorni dalla comunicazione dei dati della Regione sulle quote da assegnare alle associazioni per la nuova Camera unificata. E c’è di mezzo pure il Tar. I soliti pasticci all’italiana. —