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l'intervento

«Lodi, è difficile passare dal megafono alla realtà»

«Lodi, è difficile passare dal megafono alla realtà»

La lettera aperta di Domenico Bedin, sacerdote e presidente dell'associazione Viale K

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Carissimo Vicesindaco, ti scrivo dopo averti visto, mercoledì scorso, parlare con tanta delicatezza e capacità di mediazione con gli abitanti di via Ginestra che erano preoccupati per l’arrivo eventuale nella Comunità Casa di Stefano al n° 9 di alcune famiglie Sinti provenienti dal Campo di via delle Bonifiche che intendi chiudere al più presto.

Certo non eri più l’ardimentoso e irruento agitatore che nell’inverno scorso, anche a Formignana, protestava per l’arrivo di pochi profughi in una casa di una mia associazione. Le rassicurazioni che, sia la Prefettura che il Comune cercavano di darti non bastavano: non li vogliamo e basta! Gridavi, col tuo megafono di fronte a un gruppo di carabinieri schierati.

Se hai seminato questo seme di intolleranza perché pretendi che i cittadini, che magari ti hanno anche votato proprio per i tuoi slogan contro l’accoglienza, ti possano credere quando sussurri: – “ma no, non vi preoccupate, si tratta di una sola famiglia e poi saranno custoditi e inseriti…”

Tu forse non ricordi, ma anche tu sei stato vittima di picchettaggi e manifestazioni contro l’accoglienza. Quando tu, la tua fidanzata di allora e un’altra attuale Assessore con la sua famiglia e tanti altri migranti e poveri eravate ospiti di Viale K (giorni drammatici e felici), il comitato “mille firme” supportato dal Senatore Balboni faceva sit-in di fronte la parrocchia di Krasnodar. Sono contento di non aver ceduto di un millimetro allora anche perché ora fate parte della Giunta con il figlio di Balboni. È un peccato morire: la realtà supera di gran lunga la fantasia!

Ma, tornando ai Sinti, sono molto contento che l’Amministrazione Comunale voglia, prima cosa in assoluto, ricollocare le famiglie in luoghi più adatti e ci siamo resi disponibili alla collaborazione (capisci che con le premesse sopra citate potevamo rispondere con un bel arrangiatevi). Stiamo lavorando insieme per trovare delle soluzioni idonee e stai scoprendo che le cose sono più complicate di quello che sembrava: sono cittadini italiani, hanno la residenza, hanno figli piccoli e altri che vanno a scuola, ci sono persone con disabilità, altri sono in carcere e sai anche che senza un lavoro da proporre loro si resta nel puro assistenzialismo, e che anche le case mobili e le “campine” non si possono spostare e piazzare dove si vuole senza una serie di permessi di cui è titolare il Comune stesso. Per non parlare della difficoltà di far accettare questi nuclei dai residenti viciniori. Insomma il progetto è bello ma ci vuole tempo e spazi adatti.

Ma tu continui a dire alla stampa che entro luglio bisogna sgomberare. Se non capisco male si sta profilando uno sgombero e una collocazione provvisoria in attesa di soluzioni definitive. Se è così si impone loro un doppio trasloco e altre incertezze e disagi. Non è meglio pulire e mettere in sicurezza in maniera essenziale l’area del campo e poi sfilare una alla volta le famiglie collocandole in luoghi adatti? Abbiamo insieme verificato con loro il desiderio di andarsene e di collaborare.

Per esempio la Protezione Civile e qualche nostro volontario, insieme ai residenti Sinti, non ci metterebbero molto a falciare l’erba, svuotare le vasche biologiche, ripulire gli spazi e mettere in sicurezza le prese elettriche, gli scarichi e il gas. È molto più oneroso, anche economicamente, trasferire provvisoriamente le strutture (e dove?) e poi riposizionarle daccapo.

Infine dal punto di vista del “ritorno d’immagine”: vuoi mettere il vantaggio del passaggio dal Megafono al ragionare politico, dal Martello Pneumatico alla Cazzuola di chi vuol costruire la “nuova città”.