La Nuova Ferrara

Ferrara

IL PERSONAGGIO

Don Giuseppe è vedovo, papà e anche nonno: «Ho un figlio e tre nipoti, ci abitueremo all'idea»

Fabio Terminali
Don Giuseppe, il prete nonno
Don Giuseppe, il prete nonno

Faceva l'impiegato alla Telecom, la svolta dopo la morte della moglie. Ora celebra a Gallo: «Accolto benissimo, mi manda il cardinal Zuppi»

3 MINUTI DI LETTURA





[[atex:gelocal:la-nuova-ferrara:ferrara:cronaca:1.37770767:Video:null]]

GALLO. C’è chi lo chiama padre e, certo, questa non è una gran notizia per un prete. Ma, tolta la tonaca, c’è chi lo chiama papà o nonno. Don Giuseppe Mangano, bolognese di 71 anni, il nuovo sacerdote di Gallo, ha un figlio e tre nipoti.

Non è un miracolo e neppure blasfemia: piuttosto è la Chiesa che cambia. «Sono così pochi i sacerdoti di questi tempi, che sono stati costretti a rivolgersi a me», sorride lui in modo molto rilassato, come se il suo percorso di fede fosse il più normale del mondo. Cosa che peraltro è, per un uomo tra gli uomini.

Matrimonio felice

Giuseppe, prima di Dio, aveva sposato una donna. Una bella storia d’amore. Lei si chiamava Anna. «Abbiamo avuto un figlio, di nome Francesco – racconta il sacerdote –. Ora vive in America, a Madison, nello stato del Wisconsin, assieme a sua moglie, una statunitense che conobbe a Bologna, e ai loro tre figli: Francesca di 16 anni, Vasco e Giuseppe di 13». Ecco la famiglia “civile” di Giuseppe. Unita, felice. Almeno fino al 2008. «In quell’anno è morta mia moglie: Anna era malata da molto tempo di diabete e a un certo punto non ce l’ha fatta più».

Uno di quei tornanti, la scomparsa di una persona cara, che ti possono fare sbandare. Qualcuno però riesce viceversa a riprendere la strada, una diversa, una che magari si era abbandonata. «Io ero un dipendente della Telecom – ricorda don Giuseppe –, ho lavorato anche a Ferrara, in via Cairoli. Ma in gioventù ero stato in seminario e nel 1968 mi sono laureato in Teologia».

Quarant’anni dopo era arrivato il momento. Il buio nella vita privata si ricompone in una luce che rischiara e gli parla: è Dio a chiamarlo.

La vita religiosa

«Sono diventato diacono il 10 febbraio 2013, ordinato da monsignor Carlo Caffarra. Il giorno dopo Benedetto XVI si è dimesso da papa: che quell’atto storico abbia avuto a che fare qualcosa con me?», ironizza don Giuseppe. Che negli anni successivi aiuta il sacerdote di Malalbergo, appena al di là del Reno: prima le benedizioni, più avanti le celebrazioni dei funerali e dei battesimi. Nel 2016 viene nominato viceparroco.

Per l’ordinazione a sacerdote bisogna attendere settembre dell’anno scorso. Poi qualche tempo fa ha ricevuto una telefonata: era l’arcivescovo Matteo Maria Zuppi. «Mi ha chiesto di assumere la guida delle comunità parrocchiali di Malalbergo, Passo Segni e Gallo. Devo dire che un po’ me lo aspettavo, ma in quell’attimo è stato uno choc».

L’ingresso ufficiale risale a poche settimane fa. E i fedeli come l’hanno presa? Gli chiedono consigli, magari per affrontare la vita matrimoniale, che lui ha affrontato? «Non ci sono curiosità particolari – risponde don Mangano –, nessuna pruderie, tutti mi hanno accolto benissimo. Avremo un bel cammino da fare assieme».

«Il clero cambierà»

Il neo sacerdote non è l’unico con una storia del genere: «Conosco un caso analogo a Rimini e uno a Palermo». In Romagna in effetti c’è don Probo Vaccarini: 100 anni, tuttora parroco a San Martino in Venti, che ha raccontato la sua storia nel libro “Sposo, Vedovo, Sacerdote”.

Ma il parroco di Gallo è favorevole alla possibilità di avere preti sposati? «Ma l’apertura c’è, nel rito greco e orientale esistono già – dice –, così come è nel nostro costume avere diaconi sposati. Dovremo abituarci all’idea, vista la penuria di sacerdoti. Il clero ha un passo lento, ma prima o poi si adeguerà». Don Giuseppe, uomo tra gli uomini. —

BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI