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Acqua “sicura”, la lotta alle insidie invisibili. «Sbarrare la strada agli inquinanti emergenti»

Gioele Caccia
Acqua “sicura”, la lotta alle insidie invisibili. «Sbarrare la strada agli inquinanti emergenti»

Nei laboratori di Unife si testano nuove tecnologie e materiali per rimuovere farmaci, pfas e micro-plastiche (trovate anche nei piccoli pesci)  

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FERRARA. Le immagini dei cetacei spiaggiati dopo aver ingoiato, negli anni, decine di chilogrammi di plastica oggi non sono più una rarità. Meno noto è il fatto che mini-frammenti o filamenti di plastica sono stati rinvenuti nello stomaco di pesci di taglia molto più piccola, che vivono nel Mediterraneo e che possono entrare nel piatto del consumatore. La plastica, materiale che negli ultimi sessanta anni ha letteralmente invaso ogni interstizio del mercato, è però solo uno degli inquinanti rintracciabili in laboratorio nell’acqua prelevata da una fonte superficiale o profonda. Tra queste sostanze si possono citare i farmaci (diclofenac, ormoni), il cvm (reperibile anche nelle falde profonde del nostro comune) o i meno noti Pfas.

La sanità. Garantire la “salute” dell’acqua prima ancora che quella di chi la consuma rientra tra i compiti delle autorità di controllo ma anche tra gli obiettivi di alcuni studi compiuti nei laboratori di Unife, senza i quali – ad esempio – sarebbe stato rischioso trasferire nel 2012 l’ospedale Sant’Anna da Ferrara a Cona.

A Gualdo, una località confinante, si è reso necessario aumentare la capacità di rimozione del depuratore per adeguarlo alla crescita dei flussi prodotti dall’insediamento del nuovo polo sanitario.

Tra il 2007 e il 2009 il gruppo di ricerca di Ingegneria sanitaria e ambientale del Dipartimento di Ingegneria dell’ateneo ha eseguito, sotto la guida del professor Luigi Masotti e della ricercatrice Paola Verlicchi la campionatura delle acque del refluo ospedaliero alla ricerca delle tracce dei farmaci somministrati ai pazienti e della loro trattabilità. Poi, sulla base di indagini sperimentali su impianti pilota alimentati con questa tipologia di flusso, ha suggerito l’intervento ritenuto più idoneo per sostenere il carico in uscita da un grande ospedale.

«Sono state proposte alcune ipotesi per il trattamento degli effluenti (le acque di scarico, ndr) che in buona parte sono state accolte – spiega Paola Verlicchi, oggi docente del Dipartimento di Ingegneria di Unife e responsabile del gruppo di ricerca di Ingegneria sanitaria e ambientale – Per la depurazione dei reflui ospedalieri vengono impiegati reattori biologici a membrana seguiti da processi di ossidazione avanzata tra cui ozonazione e raggi ultravioletti (Uv)».

L’industria. Paola Verlicchi e Luisa Pasti, responsabile scientifico del Laboratorio Terra e Acqua Tech del Tecnopolo di Ferrara, lavorano da tempo, assieme ad altri colleghi e ricercatori sui contaminanti delle acque, in particolare sui cosiddetti emergenti. Tra questi si sono imposti all’attenzione i composti perflorurati (Pfas, Pfoa e Pfos), sostanze con spiccate proprietà antiaderenti e ignifughe diventate tristemente note al pubblico dopo essere state rinvenute nel sangue di molti cittadini residenti nel Vicentino e nelle falde e corsi d’acqua del territorio dove operava la Miteni, fabbrica specializzata nella produzione di quei composti. La loro presenza è stata rilevata da vari studi nell’acqua del Po. Gli inquinanti emergenti sono sostanze che hanno il potenziale sufficiente per diffondersi e accumularsi nell’ambiente con possibili effetti avversi (non ancora chiariti) sulla salute umana, ma sono in gran parte non regolamentate.

L’agricoltura. Per migliorare l’efficacia dei trattamenti di depurazione, aggiunge Paola Verlicchi, servono specifiche tecnologie che richiedono investimenti (e quindi finanziamenti) consistenti. In questo contesto, diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, rappresentata dal dipartimento di Ingegneria di Unife (Verlicchi è la responsabile scientifica), collaborano al progetto europeo “Nowelties”, con l’obiettivo di trovare soluzioni sostenibili che consentano di “intrappolare” anche i nuovi e più sconosciuti inquinanti eliminandoli dal ciclo naturale e dalla catena alimentare. Verlicchi e Pasti hanno coordinato e svolto ricerche negli impianti di potabilizzazione e depurazione della provincia e sul dilavamento dei terreni in particolare nel basso ferrarese (uno è in corso, con dottorato di ricerca in Scienza dell’Ingegneria, in collaborazione con l’Università di Vienna). Dai campi agricoli le sostanze chimiche utilizzate nelle coltivazioni confluiscono nei canali, nei corsi d’acqua e nel mare.

In laboratorio. Unife ha anche depositato brevetti specifici: uno di questi dimostra l’efficacia di fotocatalizzatori (elementi che agevolano una reazione chimica attivati dalla luce solare) nei processi di depurazione. Fra poche settimane un progetto presentato dal professor Donato Vincenzi e realizzato in collaborazione col Dipartimento di Scienze Chimiche e Farmaceutiche sarà lanciato per il crowdfunding (finanziamento collettivo) da Unife per testare le nuove opportunità aperte dallo sfruttamento dell’energia solare.

Il mare e la pesca. Il Laboratorio Terra e Acqua Tech, ricorda Luisa Pasti, integra diverse competenze e attività di ricerca per migliorare le capacità di sistemi di depurazione. In pratica si cerca di affiancare a metodiche più tradizionali, tecnologie d’avanguardia mirate a soddisfare i criteri di efficacia e sostenibilità richiesti dal mercato.

A questo proposito la professoressa Pasti ricorda la partecipazione ad un progetto Interreg in corso per la rimediazione (depurazione) di acqua di mare in aree chiuse, come porti o baie, lo svolgimento di studi volti a migliorare la qualità dell’acqua utilizzata negli impianti di acquacoltura e il monitoraggio di biota, cioè l’analisi di microcontaminanti e microplastiche in organismi marini. «Sulle microplastiche e sugli inquinanti emergenti abbiamo ancora molto da scoprire – osservano Pasti e Verlicchi – Per le microplastiche, la tecnologia attuale consente di trattenere particelle anche di dimensioni molto piccole ma non nanometriche. È importante che questo tipo di studi possa beneficiare del supporto non solo dei grandi finanziatori internazionali (come l’Unione Europea) e delle multiutility, ma anche dei comuni cittadini». –

Gioele Caccia

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