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Hera, investimenti per trasformare l’acqua del Po in potabile e pura

Giovanna Corrieri
Hera, investimenti per trasformare l’acqua del Po in potabile e pura

Il lungo processo per garantire la preziosa risorsa alla città Bere in sicurezza con una rete di 2.500 chilometri

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C’è chi dopo aver visitato l’impianto di potabilizzazione dell’acqua di Pontelagoscuro ha detto addio alle caraffe filtranti. Del resto l’acqua nelle vasche di stoccaggio, ultimo step del processo di purificazione, sembra quella di una piscina, odore di cloro compreso (’’aggiunta’’d’obbligo prima dell’immissione in rete, per proteggere l’acqua da eventuali contaminazioni batteriche). E pensare che il punto di partenza è l’acqua del Po che, sebbene negli ultimi anni, assicurano gli esperti, abbia conosciuto un miglioramento qualitativo (anche grazie all’ottimizzazione nell’ambito dell’uso agricolo), nella primissima fase di trattamento si presenta torbida: ci sono fanghi, limo, sabbie e contaminanti che cambiano continuamente e richiedono una costante attenzione (in corso un progetto per studiare la presenza di sostanze di origine farmacologica). Le analisi comunque sono continue. E continui sono anche gli investimenti per il miglioramento, anche dal punto di vista energetico, di tutti gli impianti: già previsti per quest’anno centinaia di migliaia di euro per il rifacimento di due delle tre linee del trattamento di ozonizzazione. Utilizza anche acqua di falda (20-40%) l’impianto di Pontelagoscuro, ma perlopiù (60-80%) l’acqua trattata è quella superficiale del fiume Po che, con caratteristiche chimico-fisiche evidentemente meno stabili rispetto all’acqua sotterranea, subisce un percorso di potabilizzazione a più fasi.

Le fasi

La prima è la decantazione, quattro sedimentatori cioè nei quali l’acqua si’’libera’’delle sostanze solide (sabbie e limi). È poi la volta dei bacini di lagunaggio, all’interno dei quali l’acqua staziona per circa tre giorni e dove si attiva un processo di biodegradazione naturale che favorisce la degradazione di molte sostanze contenute nelle acque superficiali. La fase successiva, racconta Massimo Mari (responsabile dell’impianto), è quella della chiariflocculazione, per l’eliminazione di altre impurità rimaste nell’acqua: nelle vasche si aggiunge un flocculante per favorire la formazione di “fiocchi di impurità’’che, per il loro peso, precipitano verso il fondo della vasca. L’acqua viene poi filtrata su uno strato di sabbia silicea/quarzifera dello spessore di un metro che trattiene le impurità più fini e che non si sono depositate nelle fasi precedenti. Segue la fase di ozonizzazione per l’ossidazione dell’acqua: l’ozonizzazione è un trattamento che si applica solo alle acque captate dal fiume e che consiste nel soffiare nell’acqua una miscela di aria e ozono, potente battericida, in grado di eliminare i microrganismi e gli agenti patogeni. Al termine di questo processo l’acqua ha un elevato contenuto di ossigeno disciolto ed è priva di batteri. Per ottenere la filtrazione dei microinquinanti si usa il carbone attivo, sostanza molto porosa nei cui pori vengono trattenute le sostanze più fini. A questo punto l’acqua potabilizzata viene trasferita in tre vasche di accumulo, che permettono di fronteggiare le esigenze dei cittadini, variabili nell’arco della giornata, e uniformare la filiera di trattamento a monte dello stoccaggio (un “adattamento’’dell’impianto, in particolare, ha richiesto l’anno della pandemia: la rete è stata più stressata, dicono gli esperti, e arrivava più richiesta per esempio dalle’ “zone dormitorio’’). L’acqua nelle vasche di accumulo viene disinfettata con aggiunta di biossido di cloro, prima di essere immessa nella rete di distribuzione, spinta da potenti pompe che le consentono di percorrere l’acquedotto fino ai rubinetti delle case. Tutto automatico perlopiù il funzionamento di questo impianto in costante aggiornamento, con uno sguardo sempre alle valutazioni energetiche: quest’anno ci sono gli investimenti previsti per l’efficientamento, appunto, del trattamento di ozonizzazione ma l’aggiunta di opere ha consentito di programmare meglio le attività di manutenzione, per esempio, o sopperire a disservizi. Inseriti «gruppi elettrogeni per garantire il servizio anche in caso di blackout – sottolinea il responsabile dell’acquedotto, Alessio Benini – e abbiamo anche un drone subacqueo che ci consente di sapere quanto sedimento c’è sul fondo delle vasche senza doverle svuotare». –

Giovanna Corrieri

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