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Poppi, come il sogno è diventato gruppo con 210 dipendenti

Davide Bonesi
Poppi, come il sogno è diventato gruppo con 210 dipendenti

Ugo partì a Pieve di Cento nel ’63, ora Dosso e non solo: «Tutto merito di persone che amano il lavoro»

02 giugno 2022
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DOSSO. Il Gruppo Poppi fondato da Ugo Poppi nasce nel 1962 come Elettrostamperie Poppi a Pieve di Cento, partendo da una precedente esperienza, degli anni Cinquanta, nel campo dell’elettrostampaggio di bullonerie speciali. Ora il gruppo comprende tre aziende e conta 210 dipendenti. Tutto semplice? Macché, ancora una volta dietro a una storia di successo c’è un grande uomo, che partendo da un’idea ha saputo creare un piccolo impero, non stancandosi di ripetere quanto sono stati importanti i suoi dipendenti nel realizzare questo.

Il primo stampato nasce il 4 marzo del 1963, lo stesso giorno in cui nacque il figlio Paolo, attuale direttore commerciale del gruppo. Una data che diventa un simbolo, soprattutto perché per arrivare a quel primo stampato (di fatto un altro figlio) è servita tanta costanza. Però bisogna fare un piccolo passo indietro, al 1962, quando Ugo Poppi è militare di leva nella II Brigata missili a Vicenza, «leva durata un mese in più, 18 anziché 17 - ci racconta lui stesso -, perché erano i famosi giorni di Cuba con le tensioni fra Stati Uniti e Russia». Proprio in quel periodo nasce l’idea di produrre stampati per autoveicoli e macchinari, al suo fianco il primo collaboratore Egidio Grandi. «Il primo pezzo fu realizzato lo stesso giorno della nascita di mio figlio Paolo e anche se avevamo le presse ci mancava la corrente perché ancora non c’era il collegamento elettrico, ma riuscimmo comunque a stamparlo. La corrente ci arrivò un mese dopo dall’allora See..».

Le tappe

La prima svolta importante nel 1969, quando nasce Poppi Ugo Euroforge (denominazione attuale) con sede a Dosso e la necessaria espansione all’estero per via della crescente domanda (soprattutto per il settore macchine movimento terra, macchine agricole e trattori) e dimensioni dei pezzi sempre maggiori, passando da oggetti con pesi di 8-10 chilogrammi a pesi anche superiori ai 200 kg.

Si può definire la seconda fase dell’azienda con la crescita delle linee esterne quella avviata nel 1993 con l’acquisizione di S.Z. Ingranaggi e Italricambi (oggi Italgear), che permette di differenziare la gamma dei prodotti, specie nel campo dei particolari non solo stampati ma completamente finiti di lavorazione. Nel 2000 viene incorporata poi la Stamperia del Reno, con conseguente consolidamento del mercato, e subito l’anno dopo ecco l’incorporazione di Vancini & C in Elettrostamperie Poppi, fino ad allora un concorrente di Poppi. E siamo ormai a oggi, con questo gruppo sempre più forte nel mercato estero, se è vero che l’ultimo fatturato complessivo parla di 72% dei ricavi dall’estero e il 28% (in calo) dall’Italia.

Sogno realizzato

Certo, è lo stesso Poppi a spiegare come quanto realizzato sia andato ben al di là delle aspettative: «Dove volevo arrivare? In quei primi momenti pensavamo semplicemente di trovare un nostro spazio nel mercato, partendo da quello regionale. Mai avremmo pensato di arrivare a un gruppo così con vendite negli Stati Uniti e nel Canada. I meriti? Sono tanti e vanno divisi, intanto abbiamo cercato di aggiornarci sempre nell’ottica della qualità al nostro interno. Un ruolo fondamentale in tal senso l’hanno avuto le aziende con cui lavoriamo da tempo, l’istituto professionale Taddia di Cento per come ha preparato molti dei nostri dipendenti e poi loro, le persone che lavorano in questo gruppo. Molte di loro sono venuti qui come primo impiego e sono andate in pensione, significa che ci sono amore e fedeltà per il lavoro. Siamo cresciuti anche grazie a queste persone, senza dimenticare il ruolo fondamentale dell’ufficio commerciale, specialmente in questi ultimi due anni».

Ecco, inevitabilmente il discorso finisce alla pandemia e alla guerra in Ucraina: «Quello dei costi in crescita è un problema grosso e che riguarda tutti. Noi siamo energivori e qui i costi sono quasi triplicati, ma sono aumentati i prezzi in tutto, il trasporti del 45%, gli imballi e il prodotto per noi più importante, l’acciaio, il cui prezzo è salito fino al 50%. La guerra, poi, ha messo in difficoltà i nostri clienti con la Russia, ma visto che abbiamo aumentato le esportazioni in Nord America riusciremo a rimanere sui dati degli anni precedenti anche se con minore margine di guadagno. Fortunatamente avevamo acciaio a sufficienza nei magazzini per soddisfare le domande della nostra clientela...». Ma visto come è cresciuto questo gruppo nel corso degli anni, forse non è il caso di parlare di fortuna. A proposito, giusto una settimana fa all’Italgear hanno rinnovato l’accordo aziendale con più soldi in busta per i dipendenti e più ore di permesso retribuito per le visite mediche. Anche questa è qualità.