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Il caso

Ferrara, suicida in cella: tre accusati

Daniele Predieri
Ferrara, suicida in cella: tre accusati

La procura chiude l’inchiesta contro la comandante, una ispettrice e il medico di turno. Il ragazzo 29enne considerato a rischio si uccide con il lenzuolo che gli era stato lasciato

10 settembre 2022
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Ferrara Si uccise usando il lenzuolo del letto, attaccandolo alla porta del bagno, in appena poche decine di minuti. Quel lenzuolo non doveva esserci nella sua cella, reparto “Nuovi giunti”, perchè lui era ad “alto rischio” suicidio. E in quei pochi minuti avrebbe dovuto essere sorvegliato meglio: fino a quando alle 14 dell’1 settembre dello scorso anno, Lorenzo Lodi, 29 anni, venne trovato senza vita nella sua cella, a meno di 24 ore dal suo arresto. Oggi, dopo un anno di indagini, la presenza di quel lenzuolo, diventato strumento della sua morte, e quella sorveglianza “non sorvegliata”, sono ritenute dalla procura le prove per chiedere conto della sua morte e accusare tre indagati: la comandante della Polizia penitenziaria, Annalisa Gadaleta; una ispettrice capoturno quel giorno, Patrizia Fogli e Giada Sibhaj, il medico di turno del carcere, dottoressa che visitò il ragazzo la sera prima, alla quale il ragazzo manifestò il suo intento suicida. I due magistrati che firmano assieme l’atto d’accusa, il procuratore capo Andrea Garau e il sostituto Fabrizio Valloni, accusano i tre indagati di concorso in omicidio colposo, perché con negligenza, imprudenza e imperizia non hanno, di fatto, impedito che il ragazzo arrivasse a togliersi al vita, a meno di 24 ore – ripetiamo- dal suo arresto.

I due magistrati, oltre ad accusare i tre indagati, hanno anche chiesto l’archiviazione per due agenti di Polizia che risultavano indagati: uno di loro non era presente (era di turno al notte) , l’altro di turno quel giorno è stato ritenuto non aver concorso nel reato. Ma il suicidio di Lorenzo Lodi, purtroppo, a vederlo oggi leggendo i primi pochi atti (il deposito della chiusura indagini) si può affermare che il suo è stato un suicidio annunciato. Del resto alla stessa dottoresse Sibhaj, che lo aveva visitato la sera prima di morire, aveva confidato il suo intento, determinato, di togliersi la vita: accade spesso con la totalità delle persone che entrano in carcere la prima volta, reparti “Nuovi giunti”.

Ma in un primo momento, al suo arrivo in carcere, nella mattinata del 31 agosto (era stato arrestato nella notte), Lodi venne visitato da un primo medico, non sembrò preoccupare: tanto che per lui venne ordinata la “Normale sorveglianza”. Poi nella serata, alle 22, altra visita medica con la Sibhaj che lo ritenne ad alto rischio suciidio (a lei confessò la sua volontà di togliersi la vita) e lui passò alla “Grande sorveglianza”. Che impone, da protocolli, controlli frequenti, ogni 20 minuti. E allora, dalle 22 della sera prima, quando viene messo in “grande sorveglianza”, alle 14 dell’1 settembre quando viene trovato morto – questa l’accusa- non hanno funzionato i controlli: questo sarà al centro del confronto e del processo che verrà sulla catena di errori e responsabilità commessi e che hanno portato alla morte del ragazzo, tra i vari indagati.

Il difensore di due di loro (la comandante e l’ispettrice) , l’avvocato Alberto Bova anticipa che «pur in attesa di leggere gli atti d’accusa, a fronte delle contestazioni mosse contiamo di dimostrare che non abbiamo nessuna responsabilità: chiederemo di essere ascoltati per chiarire le nostre posizioni». Per il medico, anche il legale d’ufficio (l’avvocato Donato La Muscatella) attende di leggere gli atti, così come l’avvocato della famiglia del ragazzo, Antonio De Rensis. Interpellato, preferisce rimandare ogni commento dopo aver letto gli atti dell’indagine, ribadendo che «questa vicenda richiede massima chiarezza affinché non accada più ciò che è successo in carcere al mio assistito, poiché nulla può essere trascurato in vicende analoghe».