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Il ministro Valditara e la paura del diverso

Il ministro Valditara e la paura del diverso

28 ottobre 2022
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“...e le parole sono pietre”, ha scritto Carlo Levi. Per questo voglio ricordare un libretto che ho letto 6 anni fa, dell’attuale ministro dell’Istruzione e Merito: Giuseppe Valditara, “L’impero romano distrutto dagli immigrati”. Sottotitolo: “Così i flussi migratori hanno fatto collassare lo stato più imponente dell'antichità”.

Fino a qui, niente di strano, per un libro scritto dal più giovane senatore d’Italia di AN: non ci stupiscono temi come l’amore per Roma antica, vista come patria ancestrale, o la difesa dei confini, militari e culturali assieme, per la destra italiana. Peraltro, rispetto ad altri pamphlet di carattere divulgativo, la documentazione lascia abbastanza trasparire l’approccio scientifico di un professore ordinario di Diritto privato romano, all’Università di Torino.

Ma le argomentazioni non promettono nulla di buono per il ministero di oggi all’istruzione e “Merito”. I media, i social, i pedagogisti hanno già espresso giudizi e preoccupazioni per una sottintesa meritocrazia scolastica, che sembra andare in senso contrario rispetto all’inclusione e alla didattica personalizzata. Ma se avessero letto il libello di Valditara, si sarebbero accorti che il concetto di merito del nuovo ministro va ben oltre il mondo della scuola.

Titoli di paragrafo come: “L’accoglienza, una questione di merito” o “L’assorbimento premessa dell’integrazione”, o: “Miglioramento e romanizzazione di ciò che si accoglie” dicono parecchio della visione del ministro su migrazioni, globalizzazione o multiculturalità.

«Senza la consapevolezza della propria superiore civiltà Roma non avrebbe mai potuto egemonizzare e poi assimilare popoli diversissimi e fare di tante genti un’unica nazione» (p. 33).

Le scelte lessicali sono chiarissime: termini come “civiltà superiore”, “miglioramento”, “assorbimento” e “assimilazione” erano già stati banditi o presentati con accezione molto negativa nei vecchi manuali di Antropologia culturale su cui ho studiato negli anni ’80 e ’90

Il concetto di “Nazione”, poi, rappresenta un vero anacronismo per l’Impero romano: Roma nasce multietnica, da tre tribù, si sviluppa urbanisticamente e culturalmente con la dinastia etrusca e infine diventa un impero di dimensione mediterranea.

«L’assorbimento degli stranieri è per i Romani il paradigma del buon governo. E non si trattava di mera retorica», scrive il ministro con malcelata ammirazione. Nel libro si sottolineano più volte concetti come l’utilitarismo e il merito, per la concessione della cittadinanza romana, “con il costante sforzo di migliorare la società romana, accogliendo i meritevoli ed escludendo gli indegni” (p. 42). Scarsità di manodopera, ricerca di introiti fiscali e penuria di soldati sono le grandi molle che portano alla progressiva accoglienza degli stranieri, a patto che si lascino assimilare culturalmente e non rimangano “barbari”.

Temo che nel suo pamphlet il ministro abbia proiettato la paura di una società troppo aperta, i cui nemici siano ben individuabili in chi non “merita” la cittadinanza italiana o europea, in quanto portatore di valori, costumi o modelli “diversi”.

Tommaso Mantovani