Ferrara, «La Gad una ferita aperta in città, ma non sottovalutammo le gang»
Mafia nigeriana, l’ex prefetto in aula su spaccio e crimine fino al 2017
Ferrara Erano altri tempi, sebbene si parli solo di sei anni fa, fino al 2017, quando Michele Tortora era ancora prefetto di Ferrara, lasciando l’incarico in quel novembre.
Ieri Tortora è stato chiamato come testimone al processo contro la “mafia nigeriana”, per raccontare cosa fece e quali servizi coordinò dal 2013 al 2017, in città, nei vari Comitati ordine e sicurezza e nei tavoli di programmazione dell’ordine pubblico.
È stato chiamato dalle difese, uno su tutti l’avvocato Bernardino Curri per rammentare ai giudici quale fosse la situazione in quegli anni in città, se la presenza dei nigeriani fosse un problema e se vi fosse consapevolezza che la mafia c’era. Oppure no. Curri chiede subito a bruciapelo all’ex prefetto Tortora se fosse a conoscenza delle gang mafiose. Visto che c’è un episodio – ha ricordato Curri – raccontato al processo, di quegli anni quando alcuni giovani entrando in un negozio dissero: «Noi siamo la mafia a Ferrara e facciamo quello che vogliamo».
«Ricordo – risponde Tortora – che le organizzazioni criminali imperversavano nel quartiere della Gad – ammette Tortora – era una ferita aperta per tanti anni». Ma da qui a sostenere di essere a conoscenza di ciò che poi verrà contestato con l’associazione mafiosa. «Non c’erano allora le fattispecie del 416 bis, ma ciò non vuol dire che sottovalutavamo il problema, visti gli enormi sforzi delle forze dell’ordine e dei controlli in tutta l’area. C'era una organizzazione criminale dedita a spaccio, ma sapevano anche che questi fenomeni erano difficilmente aggredibili». Nel senso che ci vogliono – ci vorranno poi dal 2017 in poi, quando Tortora lasciò Ferrara – investimenti in risorse e persone come accadde in un cambio di marcia investigativo che portò al processo di oggi.
Ricorda ancora il prefetto che ai vari Comitati ordine e sicurezza per diverse volte (soprattutto negli anni caldi) fu invitato anche l’allora procuratore capo Bruno Cherchi). Era l’estate 2016 e si iniziò a parlare allora di bande, dopo un feroce scontro nei giardini del grattacielo. Rammenta ancora che si parlava di traffici di droga, in tutta la Gad e che durante il servizio in prefettura avevano ricevuto diversi rappresentanti di cittadini e comitati che chiedevano interventi e protestavano per il deteriorarsi dell’ordine pubblico e della sicurezza.
«Noi sapevamo – ribadisce Tortora – di organizzazioni criminali che controllavano il territorio, in Gad i nigeriani, nelle Mura i magrebini, poi superati dagli stessi nigeriani». E anche la politica chiedeva interventi e da qui l’installazione di telecamere per il controllo, nuovi punti luce e controlli dei locali pubblici a rischio. Escludendo dai crimini del tempo la presenza di un racket delle estorsioni: «Mai sentito».
Poi al pm Ceroni della procura antimafia basta una domanda per fotografare tutto: se nelle altre città in cui ha lavorato (Vercelli, Como) avesse avuto gli stessi problemi: «Tutte le città hanno posti degradati, mai come per la Gad, particolarmente preoccupante».
Al processo ieri, è stato chiamato dalle difese anche l’ex ambasciatore italiano in Nigeria Stefano Pontesilli, che ha ribadito sulle gang cult nigeriane che sono vere organizzazioni criminali, non solo confraternite religiose o universitarie. Anche perché in Nigeria spesso i cittadini si affidano a questi cult piuttosto che alle forze dell’ordine, e di fatto hanno esportato questi principi in Italia, condizionando le zone in cui vivono.
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