Ferrara, vittima della tratta costretta a prostituirsi a 15 anni
In tribunale la testimonianza di una ragazza nel processo alla sua “protettrice”. Il racconto del viaggio dalla Nigeria, degli abusi in Libia e delle violenze in città
Ferrara Mentre la città prestava anima e corpo alla celebrazione di un propria eccellenza, l’università, beandosi del ritorno del Presidente Sergio Mattarella in un affollato Teatro comunale, in una vuota aula B del tribunale, davanti alla Corte d’assise, una ragazza forte e bella raccontava del suo inferno a Ferrara e di quell’altro che ha dovuto attraversare per arrivare fino a qui. Oggi ha più di 20 anni, ha studiato e ottenuto la licenzia di scuola media, parla più che discretamente l’italiano. Ha fatto un corso di cucina e gestisce i fornelli di un ristorante in un’altra città.
Nel 2017 di anni ne aveva 15. A 15 anni è stata stuprata in Libia, là dove ha dovuto abbandonare il passaporto e ogni altro oggetto e rimanere «solo con i vestiti che si avevano addosso». A 15 anni ha avuto il suo primo rapporto sessuale “consenziente” (ed è un grosso sforzo definirlo tale) in questa città, in una notte estiva, in via Bologna, dove per alcuni mesi è stata mandata a prostituirsi. Un rapporto marchiato col sangue, il suo, per la disumanità di chi si è comprato il suo corpo per pochi minuti e ha deciso di non rispettarlo. Sembra giovanissima ancora oggi che con precisione, forza sorprendente e un’apparente serenità ricorda quei fatti, interrotta dalle lacrime solo una volta, e chissà sei anni fa come doveva apparire - una bambina? - agli occhi suoi clienti, nostri concittadini, alcuni dei quali con anche il privilegio di avere il suo numero di telefono per organizzare un incontro.
Chi fosse e quanti anni avesse lo sapeva di sicuro la sua protettrice e sfruttatrice, una donna nigeriana, come lei, che quest’anno compirà 30 anni, probabilmente anche lei ex vittima di tratta e poi trasformatasi, come troppo spesso accade, in aguzzina. Oggi è imputata per reati gravissimi quali sono quelli di riduzione e mantenimento in schiavitù e prostituzione minorile (oltre ad altri reati “minori” in materia di immigrazione) dopo un’indagine della Dda di Bologna (pm Roberto Ceroni). La ospitava a Ferrara, in un appartamento del grattacielo. Anzi, in una stanza di quell’appartamento, che divideva con un’altra ragazza e la sua “protettrice” a 140 euro al mese più spese, prelevati dai suoi incassi lavorativi. Poi c’erano tre uomini, compreso il padrone di casa, il cui ruolo non è mai stato ben definito in questa vicenda.
Mai le è stato detto che doveva prostituirsi, anche se non ci ha messo molto a capirlo. L’imputata le ha detto che doveva andare già dal centro di accoglienza dove si trovava, perché se no non avrebbe potuto lavorare e ripagare il debito che la sua famiglia aveva contratto con lei: 15-20mila euro. Per la speranza che l’Europa ha rappresentato per lei e la sua famiglia, e che ancora oggi continua a rappresentare, perché indietro non si torna se sei partito «per dare un futuro migliore a te e alla tua famiglia, per fare studiare i tuoi fratelli più piccoli». Niente l’ha fermata. A
fermare il suo sfruttamento è stata invece un’operatrice del fu Centro servizi integrati per l’immigrazione, dove la ragazza andò per fare i documenti, di cui era completamente priva, spacciandosi per maggiorenne. «Mi disse: tu sei più piccola», ha raccontato, e da quel giorno non è più tornata al Grattacielo. Prima ospite come “potenziale vittima di tratta”, poi protetta del tutto come vittima effettiva dopo che, a fatica, ha raccontato tutto alla Polizia. Senza astio, senza cattiveria, senza rabbia vendicativa per chi la sfruttava, anzi con quasi uno granello di gratitudine per aver organizzato e permesso il suo arrivo in Italia: è ciò che l’ha fermata all’inizio dal raccontare tutto agli inquirenti.
Eppure quella donna, che andava nella sua stessa scuola in Nigeria (è per questo che suo padre sapeva a chi affidarsi, dopo il solito rito religioso, con un bagno in acqua speciale, per siglare il debito) nel suo primo giorno a Ferrara, le ha dato i vestiti da lavoro - «un reggipetto, una magliettina e dei pantaloncini tipo per una bambina di 5 anni» - l’ha controllata in ogni spostamento, le ha preso i soldi guadagnati in strada ogni santa notte, anche con la pioggia, l’ha picchiata quando non ha lavorato abbastanza, sottoposta a perquisizioni. Eppure quella donna l’ha mandata in strada dove un uomo, dopo aver fatto i suoi comodi, l’ha picchiata, sbattuta fuori dall’auto e derubata della borsetta con dentro il cellulare. L’ha fatta prostituire in strada una volta anche a Vicenza, dopo una festa dove l’aveva portata. La stessa donna che davanti al sangue, per tre volte, le ha detto di ripulirsi e continuare. Quando le istituzioni l’hanno portata via, l’ha fatta cercare da un avvocato, facendo chiedere informazioni all’Asp, spacciandosi per sua sorella.
Ecco, ieri questa ragazza era anche lei qui a Ferrara, a raccontare tutto questo. E anche per lei è stato un ritorno. Da donna forte e finalmente libera.
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