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L’inchiesta

Caporalato a Portomaggiore: altre quattro denunce

Caporalato a Portomaggiore: altre quattro denunce

Reclutavano in modo illecito i braccianti: sfruttati nel lavoro nei campi a cinque euro all’ora. I responsabili individuati dalle indagini dei carabinieri

10 luglio 2023
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Portomaggiore. Continua l’attività di contrasto dell’Arma ferrarese al caporalato in agricoltura che le recenti inchieste hanno evidenziato essere presente in particolare nelle aree del portuense e dell’argentano. La Compagnia di Portomaggiore è dunque impegnata in prima linea: l’ultimo atto di una serie di attività investigative  è la denuncia alla Procura della Repubblica di Ferrara di quattro cittadini pakistani, tutti residenti in zona, individuati quali presunti autori di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, nonché di estorsione e lesioni personali.

L’attività e  le indagini condotte in particolare dai militari del Nucleo Operativo e Radiomobile, coadiuvati dai colleghi del Nucleo Ispettorato Lavoro di Ferrara e coordinati dalla Procura estense, hanno preso spunto dalla violenta aggressione di un altro pakistano, avvenuta nel marzo del 2022, a Portomaggiore. La vittima era  stata picchiata selvaggiamente per “aver osato” chiedere ai suoi caporali il pagamento di poche centinaia di euro, corrispettivo del duro lavoro che aveva svolto nei campi della zona.

I successivi accertamenti, oltre a individuare i quattro  indagati quali presunti autori dell’aggressione, hanno consentito ai Carabinieri di raccogliere numerosi elementi indiziari a loro carico per la loro attività di “caporali”, condotta tra il 2018 e il 2022, consistente nel reclutare i loro connazionali (tra cui la stessa vittima dell’aggressione), curandone il trasporto nelle aziende agricole della zona e, approfittando del loro stato di bisogno, costringendoli al lavoro nei campi in condizioni di sfruttamento, violando sistematicamente le vigenti normative di settore, tra le quali quelle relative all’orario di lavoro, ai riposi, alle ferie e alla paga.

Dalle indagini dei Carabinieri - che hanno condotto il Pubblico Ministero titolare delle indagini ad emettere un avviso di conclusione delle indagini preliminari che i militari hanno notificato nei giorni scorsi ai quattro indagati - è emerso, in particolare, che i “caporali” retribuivano i lavoratori talvolta “in nero” e, comunque, in modo palesemente difforme dai contratti collettivi, riconoscendo al lavoratore una paga di circa 5 euro l’ora in luogo di una spettanza pari a circa il doppio, e incamerando la relativa differenza quale compenso per la “mediazione” con l’imprenditore agricolo. I lavoratori, inoltre, perlopiù sprovvisti di conoscenza della lingua italiana, prestavano la loro opera anche 7 giorni su 7 e nel caso volessero avanzare pretese o contestazioni, venivano privati della possibilità di lavorare, cosa che non potevano assolutamente permettersi avendo necessità di denaro per la loro sussistenza in Italia e per quella dei loro famigliari in patria.