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Samuele Govoni

Lido Pomposa, Parasecolo presenta “Cronache private”

Lido Pomposa, Parasecolo presenta “Cronache private”

Il romanzo è ispirato al rapimento di Ermanno Lavorini avvenuto nel 1969, l’incontro al Gallanti Beach

19 luglio 2023
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Nel 1969 Ermanno Lavorini, bambino rapito per ottenere un riscatto, venne ucciso. Il fatto sconvolse l’Italia e anticipò quella che poi venne battezzata come “la stagione dei sequestri”. Il caso fece scalpore, sia per l’età della vittima, dodici anni, sia perché si trattava del primo caso di rapimento di un bambino. Valentina Parasecolo, giornalista che si occupa di relazioni con i media al Parlamento Europeo, per il suo romanzo d’esordio si è ispirata al caso che 54 anni fa gettò un’ombra scura su un Paese e su un decennio fatto di speranze e sogni. “Cronache private”, questo il titolo del libro edito da Marsilio, sarà presentato domani alle 18.30 al Gallanti Beach di Lido Pomposa (via Monte Lessini, 10). L’autrice ne parlerà con Ruggero Po. In vista dell’incontro si racconta ai lettori della Nuova Ferrara.

Valentina, partiamo dalle basi: di cosa parla questo libro?

«Della Prima Repubblica, dell’epoca d’oro del giornalismo, di un omicidio, di una vicenda d’amore. Inizia negli anni Cinquanta. Giovanni, un tombarolo ventenne, e Dora, un’aspirante sarta sedicenne, si conoscono durante una scavo clandestino in Maremma. Vivono una relazione. Ma i primi amori quasi mai sono gli ultimi. E talvolta ritornano. I due si ritrovano, da adulti: lei è diventata effettivamente una sarta, lui è un fotografo di nera per un rotocalco».

La vicenda si svolge nel 1969, che anno è?

«Un anno cruciale, tutto sta per cambiare nella storia dell’uomo e dell’Italia. Il teatro del nuovo incontro è l’Umbria, sulla scena di un delitto di cui parla tutto il Paese: il rapimento e l’uccisione di un ragazzino. La vicenda, romanzata, è ispirata al caso Lavorini, avvenuto appunto nel 1969».

Quando ha sentito parlare per la prima volta del rapimento di Ermanno Lavorini? Ha deciso subito di ripercorrerlo o è un’idea che è maturata nel tempo?

«Ne ho sentito parlare nel 2014, grazie a un documentario Rai. Da subito mi è sembrata una vicenda che andava conosciuta per poter capire la storia recente italiana. Quasi da subito mi sono detta che mi sarebbe piaciuto romanzarla, con tatto ma anche con fedeltà rispetto ai problemi che solleva».

Chi sono i protagonisti di questa storia e cosa l’ha colpita di loro?

«Nella realtà sono Ermanno e la sua famiglia, Viareggio, la pineta e la spiaggia di Marina di Vecchiano, accusati, accusatori, capri espiatori e colpevoli. Sono rimasta affascinata dalla dignità dei cari delle vittime (parlo al plurale perché ce ne sono varie). Mi ha impressionato la spregiudicatezza di altri (non voglio dare anticipazioni per chi non conosce la vicenda e vuole approfondire attraverso il romanzo) . Ma a colpirmi sono stati soprattutto i temi: il nostro bisogno di riti collettivi intorno all’indignazione, il rapporto con i media, l’opacità del potere, l’inafferrabilità della verità».

Come detto la storia si sviluppa nel 1969, al termine di un decennio pieno di ottimismo. Gli Anni di Piombo sono dietro l’angolo, cosa resta oggi, secondo lei, di quell’Italia?

«Gli anni Sessanta sono ottimisti ma si portano dietro e sottotraccia gli irrisolti del Ventennio, pronti a esplodere nuovamente. Dell’Italia ottimista non resta quasi nulla. Da Millennial che segue con attenzione anche la Generazione Z, come una sorella maggiore, mi pare che siamo tutti delusi, preoccupati, provati. Dell’Italia degli Anni di Piombo resta un conflitto politico (fortunatamente non più armato) che viene anche e talvolta verbalizzato in modo ambiguo».

Segreti, silenzi, bugie e depistaggi. I lati oscuri in vicende come queste non mancano mai. Qual è stata la parte più complessa nella ricostruzione del caso?

«Mettere insieme la vicenda in sé di un crimine con la cornice storica. Per capire il caso Lavorini - continua - bisogna partire dal Piano Solo di cinque anni prima e passare per gli scontri come quello della Bussola, nel Capodanno del 1968. Il passato di chi ha indagato si intreccia alle motivazioni di ha ucciso. Letterariamente».

Sta girando molto per presentare il suo romanzo, il pubblico ricorda ancora il caso Lavorini? È stato dimenticato? Che effetto fa raccontarlo?

«Il caso Lavorini fu una vera ossessione italiana: era ovunque, tutti ne parlavano. Poi, all’improvviso, senza che ancora si fosse individuato il colpevole, ce ne si disinteressò. Questa attivazione di indignazione, indipendente dalla verità, e la successiva rimozione dice un po’di come siamo. A ricordare il caso sono quasi solo i bambini dell’epoca, perché loro furono segnati non dallo scandalo e da aspetti morali, ma dalla paura. E quella attecchisce a un livello più profondo. Raccontarlo oggi per me significa innanzitutto tentare di contribuire a una riflessione sulla natura umana».

Ingresso libero fino a esaurimento posti, non occorre la prenotazione.l

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