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Portomaggiore, i “caporali” davanti al giudice: «Ci facevamo pagare il servizio»

Daniele Oppo
Portomaggiore, i “caporali” davanti al giudice: «Ci facevamo pagare il servizio»

Ieri l’interrogatorio di garanzia, negato lo sfruttamento

04 agosto 2023
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Portomaggiore Non sfruttamento, ma un “servizio” offerto ai connazionali che non parlavano italiano e che non avevano disponibilità di mezzi per raggiungere il luogo di lavoro.

Questa, nella sostanza, la posizione dei tre uomini - tutti pakistani -raggiunti martedì da un’ordinanza restrittiva: il divieto di dimorare nel territorio provinciale di Ferrara. I tre, rispettivamente di 23, 35 e 43 anni, residenti tra il Portuense e l’Argentano, sono indagati per intermediazione illecita di manodopera e sfruttamento del lavoro di circa 300 persone, ovvero e più comunemente, per caporalato.

Ieri tutti e tre sono stati sentiti dal giudice delle indagini preliminari Silvia Marini e i loro difensori, gli avvocati Mariella Cicorella (che ne assiste due) e Giovanni Sorgato, hanno chiesto la revoca della misura o comunque una sua modifica in una meno afflittiva, da un lato contestando la ricostruzione della procura, dall’altro osservando che le loro famiglie sono stanziali nel territorio Ferrarese, con figli piccoli e con un mogli che non lavorano e dunque non possono provvedere al sostentamento familiare in autonomia. In una caso è stato anche portato all’attenzione del giudice che una delle compagne è in procinto di partorire nel contesto di una gravidanza a rischio. Il gip si è riservato la decisione.

Gli indagati hanno negato di aver sfruttato i loro connazionali, spiegando al giudice di aver solo richiesto il pagamento del “costo” del servizio loro offerto per il trasporto nei campi e per il servizio di traduzione, visto che in molti non parlano italiano. Negati anche gli importi che secondo le indagini svolte dai carabinieri sarebbero stati richiesti.

Secondo gli inquirenti, invece, avrebbero riconosciuto al lavoratore una paga di circa 5/6 euro l’ora in luogo di una spettanza pari a circa 10 euro, ed incamerando la differenza per la “mediazione” con l’imprenditore agricolo. I lavoratori prestavano la loro opera anche 7 giorni su 7, per 10/12 ore al giorno, senza poter usufruire di ferie, permessi, formazione sulla sicurezza, viste mediche periodiche, dispositivi di protezione ed altri benefici previsti dalla vigente normativa e venivano “indottrinati” sulla versione da fornire in occasione delle eventuali verifiche da parte degli ispettori del lavoro. l

Daniele Oppo

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