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L’indagine

Comacchio, sotto scacco i rapinatori della Bper: uscirono con un bottino di 121mila euro

Daniele Oppo
Comacchio, sotto scacco i rapinatori della Bper: uscirono con un bottino di 121mila euro

Individuati tutti i membri della “batteria” che colpì la filiale di San Giuseppe di Comacchio il 12 settembre 2019, sequestrando personale e clienti

23 agosto 2023
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Comacchio Sono passati quasi quattro anni da quel 12 settembre del 2019, quando un commando fece irruzione nella filiale Bper di San Giuseppe di Comacchio, minacciò i dipendenti, li rinchiuse in uno stanzino e si fece aprire la cassaforte temporizzata, portando via un bottino di 121.492 euro.

Sono passati quattro anni e adesso sono stati tutti identificati gli autori della rapina con sequestro di persona: Luigi Rusciano (39 anni), Pasquale Mancini (64 anni), Gennaro Ambrosio (60 anni) e Biagio Reca (69 anni). Tutti napoletani in trasferta. E poi Mario Ambrosio, 57 anni, fratello di Gennaro, l’unico residente in zona e forse il basista, che ricevette 7.800 euro dalla banda dopo il colpo in banca e quindi indagato per ricettazione.

I carabinieri di Comacchio hanno completato il quadro, che già avevano ben chiaro dal successivo mese di novembre, perché molti dei membri vennero presi e arrestati dopo un altro colpo, questa volta non portato a segno, alla Cassa di Risparmio di Ravenna di Porto Garibaldi, dove avevano arraffato già 30mila euro e attendevano l’apertura della cassaforte temporizzata, ma dove i carabinieri gli rovinarono tutti i piani, intervenendo dopo che era scattato l’allarme. I sospetti che fosse la stessa banda di San Giuseppe (e forse anche di altri colpi nel nord Italia) furono da subito forti. E via via si sono sempre più concretizzati.

Alla Bper agirono come si vede nei film. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, verso mezzogiorno Rusciano entrò per primo, a volto scoperto, intimando ai dipendenti di allontanarsi dai computer e di aprire le porte d’ingresso, dalle quali entrarono Mancini, Gennaro Ambrosio e Reca con volto mascherato da un berretto con visiera e da un fasciacollo. Macini portò i dipendenti e gli utenti presenti in uno stanzino interno, dopo avergli fatto lasciare i telefonini su un tavolo. Ambrosio invece si occupò di accompagnare il cassiere nel caveau, dove si fece aprire la cassaforte temporizzata da un altro dipendente, dopo aver minacciato entrambi di percosse. Minacce sottolineate, diciamo, brandendo una barra d’acciaio.

Reca, infine, entrò per ultimo e si occupò di presidiare l’ingresso della banca, fermando gli ignari utenti che entravano e accompagnandoli nello stanzino dove c’erano gli altri e dove rimasero per quasi un’ora.

Poi il commando si dileguò con il bottino. La riuscita facile del colpo sicuramente li ingolosì, perché poi la banda, in formazione leggermente differente, agì nuovamente a Porto Garibaldi. Qui oltre a Gennaro Ambrosio, Mancini e Reca (che faceva il palo) ci fu l’intervento anche di un giovanissimo, al tempo 19enne e incensurato, Bruno Simonetta. Tutti vennero arrestati e confessarono davanti al gip in sede di convalida. Reca, in verità, riuscì a scappare ma venne individuato e fermato a casa di Mario Ambrosio, considerato il basista della “batteria”, dove si stava lavando le mani dalla colla usata per attaccare targhe posticce alla sua auto, parcheggiata in garage. 

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