La Nuova Ferrara

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L’editoriale

Quando il passato non insegna

Cristiano Meoni
Quando il passato non insegna

Oggi il Presidente della Repubblica ad Argenta per ricordare don Minzoni

24 agosto 2023
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Ripartiamo dalle parole pronunciate dal cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, mercoledì ad Argenta: «La violenza fascista può assumere colori differenti, ma è sempre disprezzo per l’altro e per il diverso, è intolleranza, razzismo, violenza fisica che inizia sempre con quella verbale». Le parole sono pietre, specialmente quando sono messe nero su bianco e restano, in un libro che sta spopolando oltre misura. Il caso letterario e politico dell’estate: “Il mondo al contrario” del generale Roberto Vannacci. Che fingendo un’operazione di recupero dei valori tradizionali, getta semi di violenza nei vuoti aperti dai dubbi della società italiana: dire che Paola Egonu non ha i caratteri somatici degli italiani, che i gay non sono normali, è avvelenare i pozzi della convivenza civile. Don Minzoni fu ucciso perché non aveva accettato la violenza anzitutto verbale. Non aveva taciuto di fronte alle minacce. Su questo giornale la sua esemplare vicenda di “martire” della democrazia è stata narrata da Gian Pietro Zerbini e dallo storico Giuseppe Muroni. Del prete argentano i fascisti del paese dicevano: “Parla troppo, fa politica”, e lo attaccavano con la violenza verbale tipica di quegli anni turbolenti. A forza di sentire quelle parole, di respirare un clima di intolleranza, due fascisti – “teste calde” senza grandi argomenti se non quello di mettersi in evidenza - si convinsero a ucciderlo, la sera del 23 agosto 1923, vicino alla sua canonica.

Le parole sono pietre, appunto, scriveva Carlo Levi. Possono esaltare, magnificare, gratificare, ma possono anche lacerare, ferire, distruggere. O uccidere. Noi giornalisti dovremmo saperne qualcosa, perché dell’uso delle parole abbiamo fatto un mestiere, e non sempre lo abbiamo fatto bene. Ma anche chi ricopre cariche pubbliche e rappresenta lo Stato dovrebbe tenerlo a mente: non si può sempre dire tutto quello che si pensa che sia lecito se la nostra libertà di espressione invade e distrugge l’altro. E se si vogliono dire, certe cose vanno maneggiate con una delicatezza che non è nelle corde del militare prestato alle lettere: il solo riemergere della parola “razze”, che avevamo dimenticato dopo un buio ventennio, è un invito alla distinzione da cui nasce la discriminazione, è subdola violenza verbale che si insinua e da cui altre “teste calde” possono trarre ispirazione. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 27 maggio era a Barbiana, sulla tomba di don Lorenzo Milani, il prete-operaio riabilitato dalla Chiesa dopo decenni di ostracismo delle gerarchie ecclesiali e di coraggiosa azione contro tutto e tutti. Oggi Mattarella sarà sulla tomba di don Giovanni Minzoni, l’arciprete di Argenta che tanto assomiglia al sacerdote toscano per la comune e incessante attenzione ai giovani, ai diseredati, alla scuola, per l’intransigenza con cui ha portato avanti le proprie convinzioni fino al “martirio” del 23 agosto 1923. Proprio un “mondo al contrario” rispetto a quello del Generale.